Il quadrifoglio genovese
In questo articolo vediamo insieme come venivano realizzati i famosi intarsi del mobile genovese conosciuti come “quadrifoglio”
Pubblicato il 20/12/2020 – Scuola di Restauro Genova
. Fonte: Autori vari
Scopriamo per la prima volta i segreti riferiti alle tecniche costruttive settecentesche che hanno dato origine ad un genere di mobile apprezzato in tutta Europa dai grandi collezionisti e presente nei rari musei.
Descrizione dell’opera
Si tratta di un tavolino scrittoio da centro costruito a Genova nel periodo stilistico del Rococò intorno alla metà del ‘700; la provenienza è stabilita in merito alla presenza al centro del piano del noto rosone quadrilobato costituito da elementi cuoriformi intarsiati, decorazioni presenti all’epoca anche in comodini, comò, bureau e trumeau, oggi tutti denominati genericamente come “quadrifoglio genovese“.
Le sue gambe esplicitamente Rococò con forma a voluta arcuata nella parte alta terminano poi a forma di sciabola sulla parte bassa fin a terra appaiono delicatamente snelle e raffinate queste sono unite da una fascia sottostante al piano convessa sui lati lunghi e meno mossa sui quelli corti mentre tutti e quattro presentano verso il basso un traforo simmetrico centinato. Inoltre l’intera superficie a vista è ricoperta da una lastronatura in legno di palissandro spessa 3 mm disposta a lisca di pesce inclinata a 45° che sul piano presenta i quadranti simili ad un rombo a sua volta contiene all’interno una sorta di cornice in legno chiaro di bois de rose che risalta sullo sfondo il cosiddetto “filetto in rigatino” contenente fibre parallelamente lineari; lo si può notare anche a contorno dei fianchi.
Lo stesso legno più chiaro in rigatino compare sul perimetro del piano (costituito dagli spigoli arrotondati e i lati corti e lunghi panciuti nel centro); tale profilo assume una sezione rientrante in alto e prominente in basso detta modanatura. Infine in ognuna delle gambe unicamente sullo spigolo esterno vi è un lieve smusso ottenuto sempre col legno chiaro che le delimita. Per completare l’espressione decorativa compaiono le applicazioni in bronzo dorato ai vapori di mercurio e finemente cesellato presenti al centro di un lato come bocchetta per la chiave della serratura del grande tiretto con forma asimmetrica attinente allo stile naturalistico di derivazione francese: anche il contatto a terra delle gambe è guarnito con scarpette metalliche piccole che non appesantiscono il resto.
La tecnica segreta d’intarsio tramandata e mai scritta prima
Il simbolo a forma di cuore polilobato, noto come quadrifoglio genovese, che lo contraddistingue non è solo un comune “intarsio” che molti conoscono e praticano tagliando col traforo lastronature o piastrelle in legno fino a ottenere una sorta di mosaico; è invece un qualcosa in più che descriviamo di seguito.
Si utilizza, per creare il quadrifoglio genovese, in alternativa al tronco, un ramo di diametro minore di specifici legni (bois de rose, palissandro, violetto, ulivo) di colore intenso e durezza notevole.
poi si effettua un taglio ad “ostrica” [fig. 1] di tipo trasversale rispetto la lunghezza delle fibre inclinato a 30° rispetto l’asse del ramo ottenendo così una fetta spessa 6 mm di forma ellissoidale [fig. 2 ] col legno di testa contenente 2 diametri uno breve e uno lungo dove si vedono in sezione gli anelli di crescita; poi la si taglia in 2 metà [fig. 3 ]con un taglio passante dal centro inclinato a 45° rispetto il diametro corto. Infine una sola di queste si rotea di 180° [fig. 4] per contrapporla all’altra metà ottenendo il doppio lobo; che può essere tagliato sulla metà dello spessore di 6 mm [fig. 5]essere aperto di 180° a “libro” passando da 2 a 4 lobi ognuno spesso 3 mm sfociando nel mitico quadrifoglio genovese.
Le varie fasi del restauro
Disinfestazione
La fase di disinfestazione , o comunemente chiamata trattamento antitarlo, consiste nell’eliminazione dei parassiti del legno, i tarli e va svolta prima di iniziare il restauro ligneo vero e proprio.
È stata usata l’essenza di trementina pura distillata da resina di pino iniettandola in ogni foro e cospargendo abbondantemente col pennello le zone orizzontali non a vista prive di vernice per essere assorbita totalmente dal legno. Una volta trattato tutto il tavolo, lo si è avvolto ermeticamente in un telo di nylon, lasciandovi all’interno alcuni vasi con dentro l’essenza di trementina. Questo con lo scopo di favorirne l’evaporazione saturando l’aria interna costituendo così una sorta di camera a gas. Il tutto si è stato lasciato agire per 21 giorni almeno. Infatti le uova si aprono dopo 14 giorni quando esce la larva che ha buone probabilità di essere eliminata per il trattamento col solvente.
Pulitura
L’asportazione della vernice originale ormai screpolata e sbiancata dall’umidità avviene anche per eliminare le sostanze come oli e cere sovrapposte nei secoli compreso lo sporco come polvere e fuliggine al fine di ravvivare le superfici.
Questa fase estetica permette di rileggere i colori nitidi dei legni come fossero policromie di un dipinto! Occorre stendere diverse mani consecutive di sverniciatore neutro sotto forma di gelatina in grado di trattenere lo sporco e di discioglierlo grazie al suo contenuto di idrocarburi capaci di eliminare ogni sostanza superficiale senza quindi alterarne il suo colore originale. Naturalmente tale prodotto non deve contenere acqua che andrebbe a sciogliere la colla dell’intarsio distaccandolo e deformandolo in quanto il legno è igroscopico. Il solvente è emolliente delle patine e l’asportazione di entrambi è svolta con lana d’acciaio 4 zeri fine o segatura che abradono e assorbono il tutto. Al termine si risciacqua ogni zona con alcool e cotone da residui della sverniciatura.
Ripristino della lastronatura
Le parti superficiali mancanti o deteriorate e consumate creano grosse lacune e sottovolumi. Se di estensione oltre i 3 mm devono essere reintegrate con i tappi in legno di forma geometrica affusolata per essere meno visibili, e vengono detti tasselli.
Ovviamente devono essere costituiti dello stesso legno della parte mancante e avere all’interno una fibra parallela alla zona circostante esterna e combaciare ad essa senza fessure grossolane. Dapprima si ritagliano e si posano sulla zona da reintegrare. Si crea poi una sede scavata identica dove incastrarli e si incollano con colla di ossa e pelle di mucca applicata a caldo tra i 40° e i 55° (in uso dal 1400 al 1800). L’eccesso si elimina con una spugnetta. Essendo il tassello un po’ più spesso rispetto la profondità della sede viene livellato con una lametta che lo raschia poi con carte abrasive fini di oltre 300 grani si elimina l’aspetto ruvido superficiale. Se risultano chiari si tingono con mordenti all’acqua come la terra di kassel o aniline per alcool che aggiungono le tonalità mancanti.
Stuccatura
Prima di verniciare le zone a vista, occorre ricreare un fondo uniforme, privo di piccoli fori creati da parassiti o da fessure dovute al restringimento delle tessere o piastrelle costituenti l’intarsio.
Si applica a pennello dapprima un protettivo cosiddetto isolante ottenuto disciogliendo 300 grammi di gommalacca in 1 litro di alcool; poi si impasta una parte di colla di pelle di coniglio in peso con 9 di acqua calda, di questo brodo se ne mette quanto basta per impastare lo stucco costituito al 50% di gesso di albastro cotto e al 50% da terre naturali (ocra gialla, ocra bruciata rossa, terra d’ombra marrone chiara, terra d’ombra bruciata marrone scura e nero fumo) per poi spalmarlo con la spatola triangolare flessibile a specchio cioè su tutta la superficie. Dopo 24 ore ad essicazione completata si carteggia a livello quello eccedente con carta fine da 320 grani; grazie all’isolante la carteggiatura non entra in contatto con il legno evitando di consumare la patina. Altre mani di isolante vengono applicate a seguire per proteggere indurire e colorare lo stucco.
Finitura
La finitura avviene inizialmente per merito dell’isolante pre e post stuccatura. Riempiendo i pori cellulari e ricoprendo il legno completerà le prime 2 fasi della finitura rispettivamente quella di turapori e quella di verniciatura. Dopo una settimana si tolgono i segni del pennello con carta abrasiva extra fine compresa tra i 500 e i 1000 grani con metodo ad umido. La si immerge in essenza di trementina che evita l’intasamento dell’abrasivo, lisciando così a specchio e assottigliando l’isolante.
Infine si esegue la lucidatura finale terza e ultima fase della finitura; dapprima si mescolano 50 grammi di gommalacca con 25 grammi di sandracca ( la prima è una resina cerosa ed elastica di origine animale la seconda è una resina chiara dura e brillante di origine vegetale) sciogliendole in un litro di alcool 95° per liquori. Con questa vernice si impregna un tampone costituito da una guaina di lino e da un imbottitura di ovatta poi con questo finissimo applicatore si stendono con un verso parallelo e rettilineo dalle 200 alle 300 stratificazioni di vernice agevolando con qualche goccia di olio di lino crudo per far scorrere durante il movimento. Si ottiene così una trasparenza e brillantezza superficiale ineguagliata ancora oggi dai metodi e dai prodotti moderni; terminando così le fasi di ripristino attenendosi esattamente a quei principi nati insieme al manufatto.