Storia della Carta
Fonte: Artigianatico Artistico del Veneto
Tra i vari mestieri d arte, quello della carta e dell’incisione è sicuramente il più giovane, visto che, in Occidente, non risale che al XIII secolo. Ai suoi esordi in Europa, la carta, inventata, in Cina intorno al 200 d.C. e introdotta dagli arabi intorno al 1150, trovò una fiera opposizione da parte delle autorità pubbliche ed ecclesiastiche, dubbiose (legittimamente dal loro punto di vista) circa la durata e la “tenuta” del nuovo materiale. Con questa motivazione, fu vietato, per diversi anni l’uso della carta per atti pubblici, che dovevano essere scritti su pergamena, infatti, se gli atti pubblici e i contratti tra privati, col tempo, fossero divenuti illeggibili per il deteriorasi del supporto scrittorio, i rapporti giuridici sarebbero caduti nella più nera confusione e si sarebbero prodotti danni ingenti a tutta la società.
Le origini della carta
Forse anche le umili origini questo novo materiale, ricavato niente meno che dagli stracci imputriditi, cioè oggetti di uso comune (non stoffe preziose in lana e seta, che sono poco adatte allo scopo e danno un prodotto grossolano), ma elementi di vestiario in cotone, lino o canapa, canovacci logori, lenzuola, biancheria intima, vecchi cordami, ecc., contribuirono a farne sospettare le capacità, sul pregiudizio che si trattasse di materiale “vile”, dal momento che proveniva a sua volta da materiale di scarto. Al suo confronto, la pergamena, proveniente dal regno animale, e dunque più su di un gradino nella gerarchia merceologica, era, per molti, da preferirsi ed era sicuramente adatta a durare nel tempo dal momento che si conoscevano pergamene dell’antica Roma ancora perfettamente leggibili, mentre non vi era esempio tangibile di carta antica.
Anche gli artigiani che lavoravano la carta, non godevano, all’inizio, grande considerazione; erano gli straccivendoli, coloro che passavano di casa in casa a raccogliere indumenti usati: un onesta professione, ma non certo degna di grande considerazione tra la gente. La carta tuttavia, benché di umili origini, aveva troppe doti intrinseche per rimanere al palo: era bianca, leggera, si poteva confezionare in diverse pezzature, riceveva bene l’ inchiostro e la stampa, si piegava senza rompersi, era flessibile, piacevole al tatto, ed era, soprattutto, più economica della pergamena.
Fu così che la carta non dovette attendere anche la prova del tempo, che ne avrebbe procrastinato l’uso di molti anni.
Il primo documento su carta conosciuto in Italia, pare essere il Breve di Montieri del 1219, mentre in letteratura si deve attendere una citazione di Brunetto Latini del 1292.
Nel 1798 Luis Robert inventò la macchina continua “in piano” per la fabbricazione della carta, che fu perfezionata qualche anno dopo da J Bramach’inventore della macchina “in tondo”, un principio sviluppato fino ai giorni nostri dalle grandi macchine in uso nelle cartiere.
Come si fabbricava
Fino all’introduzione delle macchine continue, risalenti ai primi decenni dell’Ottocento, la carta era fabbricata a mano, con l’uso di folle a pestelli comandati da un albero di ruota idraulica, simile a quella di un mulino. La prima operazione consisteva nella cernita dei cenci, la seconda nel lavaggio e la terza nella loro macerazione in ambiente umido, poi avveniva la riduzione in poltiglia, in acqua, tramite pestelli che lavoravano giorno e notte per diversi giorni, fino a che si formava una pasta omogenea; talvolta la pasta doveva essere sbiancata e doveva essere continuamente rimestata, a mano o con la forza motrice dell’acqua, perché non di formassero depositi, le materie pesanti non precipitassero e la massa si mantenesse omogenea, talvolta veniva aggiunta colla o altre materie solidificanti.
La fase successiva era la più delicata e presupponeva una grande abilità, da parte dell’artigiano: questi, infatti doveva prelevare dal tino nel quale veniva versata la pasta, una giusta quantità di materiale, immergendo nella massa una forma rettangolare, con un abile manovra. Si trattava di un telaio o cornice in legno che tendeva un una finissima rete metallica formata da filoni verticali, in legno o in filo di ferro più grosso, e da vergelle orizzontali di filo più sottile. Il telaio doveva essere maneggevole e misurava circa cm 60 o 70 per cm 50. Questo telaio veniva abbinato ad un secondo telaio o coperta, avente la sua cornice un po più alta della forma. La rete metallica doveva essere rigida e non presentare infossature, un modo che la pasta vi si stendesse omogenea. L artigiano, estratto il telaio con un dato peso di acqua e di fibre, e bilanciandola per determinare la grossezza della carta, eguagliava la pasta in modo che le fibre si depositassero sulla rete, mentre l’acqua filtrava attraverso le maglie.
Quando si formava il feltro delle fibre, l’artigiano prenditore, toglieva la coperta e passava la forma carica al suo aiutante; un altro artigiano, chiamato ponitore o caricatore, poneva sulla forma un feltro e vi ribaltava sopra la pasta facendola girare intorno allo spigolo di appoggio. Si faceva, quindi, la cosiddetta presa, cioè una pila di fogli di carta e di feltri, che doveva essere poi sottoposta alla torchiatura o spremitura. Conclusa la spremitura, un altro artigiano, il levatore, scomponeva la presa pressata separando i fogli dai feltri, con mosse abili e veloci, in modo da evitare rotture e prevenire la formazione di pieghe.
L’apprendista raccoglieva i feltri e li metteva da parte ammucchiandoli. La carta comune passava quindi all’asciugatoio, mentre per quella pregiata venivano messe in campo tutte le migliori risorse dell’arte per migliorare la solidità e l’ aspetto del prodotto. Così i fogli si collavano alla gelatina, si asciugavano e si lavavano con acqua calda, per togliere l’eccesso di colla e la rigidezza che ne deriva alla carta, si facevano asciugare e si lisciavano entro calandre per renderla liscia ed adatta a ricevere l’inchiostro.
Altra operazione importante è la goffratura, un operazione di finitura operata sulla carta in fase di asciugatura per ottenere un particolare aspetto: a seconda dei cilindri usati, la goffratura conferisce alla carta e al cartoncino un aspetto simile al cuoio, al marocchino, alla pergamena, alla stoffa ovvero incide o mette in rilievo un ornato costituito da roselline, palmette, bordure, ecc.
In questo senso pare che la carta abbia sofferto un complesso di inferiorità nei confronti di materiali più pregiati e costosi, come il cuoio e la pelle. I risultati, tuttavia, si sono dimostrati ottimi, dal momento che, talvolta solo il tatto rivela la differenza tra una carta goffrata tipo marocchino e un marocchino vero.
L’ apice raggiunto dalla carta, tuttavia, non è stato guadagnato con queste carte denominate “carte operate”, ma con l’arte della stampa e dell’incisione: nel libro a stampa la carta ha dato il meglio di sé ed è un errore considerare solo la stampa come una delle più importante i scoperta dell’uomo, quella che ha dato inizio all’era moderna. Senza la carta, con la sola pergamena, la stampa non si sarebbe diffusa in tutto il mondo e in tutti i ceti sociali, come si è diffusa a partire dal XVI secolo.
Benché il primo libro stampato sia stata la Bibbia di Gutemberg e le pubblicazioni di carattere religioso siano state per molti anni preponderanti, il libro a stampa, grazie a costi relativamente contenuti e ad alte tirature, incrinò il monopolio ecclesiastico degli amanuensi, sviluppò e diffuse una cultura scientifica laica, portò la cultura tra la gente, contribuì a sconfiggere l’ analfabetismo e l’ ignoranza.
La stampa e l’incisione
La storia della stampa è troppo vasta per essere riassunta in poche righe, basterà qui ricordare gli esordi della stampa con i libri silografici e singoli fogli, ottenuti, cioè da matrici in legno scolpito cheveniva inchiostrato e pressato sulla carta, come una specie di grande timbro; così si trasferivano sulla carta figure e brevi frasi. I libri silografici, che erano prevalentemente di argomento devozionale, si diffusero in Germania ed in tutta Europa.
Il passo successivo furono i caratteri mobili, che avevano il vantaggio di essere riutilizzati in svariate combinazioni. Dal vecchio torchio di Gutemberg, simile ai torchi usati dai vignaiuoli, alla fotocomposizione ed al libro elettronico, i progressi e i cambiamenti sono stati molti ma il concetto di stampa a carattere mobile è stato fondamentale per la storia dell’umanità: a partire dal 1452, data di stampa della monumentale Bibbia delle quarantadue linee o Bibbia Mazzarina, da Magonza, cuore d Europa, era cominciata una delle più affascinanti avventure dell’ uomo.
I primi esempi di stampa, come abbiamo visto, sono state ottenute con matrici in legno nelle quali venivano praticate incisioni “in rilievo”, ovvero veniva abbassato, tramite asporto di materiale, il livello della lastra di legno là dove non doveva apparire alcun segno sul foglio di stampa. In questo modo solamente il “pelo” ovvero la quota originaria del legno riceveva l’inchiostro e lo trasferiva sul foglio. Questo è il principio di funzionamento dei caratteri mobili (ancor oggi in uso per piccoli lavori tipografici) e fino al XVII secolo per buona parte di tutte le immagini stampate.
Credo non si sia riflettuto abbastanza sull’importanza della diffusione delle immagini: per noi che viviamo nella società dell’immagine e che disponiamo di un gran numero di immagini a costi assai bassi, non è facile capire come era la vita comune della gente che viveva quasi senza immagini.
olo i ricchi, solo i palazzi, solo le chiese, solo le grandi abbazie potevano disporre di immagini (libri illustrati, tavole dipinte, tele dipinte, mosaici, arazzi e tappeti figurati, ecc.) la gente comune, invece dovette aspettare la diffusione della carta e della stampa per disporre di immagini:
ecco che allora nascono e si diffondono le stampe popolari, le immagini sacre, le riproduzioni di dipinti famosi, le carte di gioco e via, via le stampe dei presepi e dei soldatini, da colorare e ritagliare, le ornamentazioni per le “lacche povere”, le prime carte da parati illustrate, i primi giornali popolari illustrati che portavano nelle case mondi lontani e fino ad allora sconosciuti.
Alla stampa xilografica si affiancò, fino quasi a soppiantarla nel XIX secolo, la calcografia, cioè l’ uso di lastre in rame incise “in cavo”, cioè incise solo dove si voleva comparisse poi il disegno (al contrario della xilografia): in questo modo la lastra veniva inchiostrata e poi pulita in modo che il “pelo” della lastra fosse privo di inchiostro e solo le parti incise ne trattenessero la giusta quantità per trasferirlo alla carta, sotto l’azione del torchio. Tra i vari tipi di calcografia, l’acquaforte ha sempre avuto un ruolo dominante. Si trattava di una tecnica presa a prestito dell’oreficeria, dove, già prima della stampa calcografica si usava incidere il metallo ed esaltare le tracce del bulino con un impasto scuro (nerofumo e grasso o una specie di pece): era la tecnica del niello, che tenta parte ha avuto nei lavori di oreficeria del rinascimento italiano.
Trionfo e gloria di veneziani, xilografia, Veneto, XV sec. | Triumphus Temporis, di Francesco Petrarca, incunabolo padovano del 1472 |
Se la stampa a caratteri mobili nacque in Germania, come ormai generalmente si conviene, fu l’Italia il paese dove questa tecnica rivoluzionaria si sviluppò subito dopo. Qui, infatti, oltre ad essere attivi molti centri religiosi, a cominciare da Roma cuore della cristianità, si stava sviluppando un movimento culturale di grande importanza come l’Umanesimo. In Italia operarono molti maestri tipografi dell’area germanica, già nella seconda meta del Quattrocento: a Venezia Peter Losslein e Erhardus Ratdolt di Augusta, e l’ottimo Vindelino da Spira; a Subiaco e a Roma, Pannartz, Sweinhardt, Mayr e Plannk; a Milano L. Pachel e M. Schinzeenzeler. A Vicenza è documentato Maistro Rigo Todesco, a Siena Enrico de Colonia e Giovanni Walbeck.
Il primi libri venivano stampati nel formato “in folio” sfruttando tutta l’altezza del foglio di carta che veniva piegato una sola volta nel lato più lungo (quello che misurava 60/70 cm) ma ben presto furono introdotti formati più piccoli e maneggevoli abbiamo così diverse misure, riferite all’altezza del libro, a seconda del numero delle pieghe: in quarto, per libri da 28 a 38 centimetri, in ottavo da 20 a 28 centimetri, in sedicesimo da 15 a 20 centimetri, in ventiquattresimo da 10 a 15 centimetri, in trentaduesimo da 7 a 10 centimetri, in quarantottesimo da meno di 7 centimetri.
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