Pittura ad olio antica
Fonte: L’ arte a Venezia e nel Veneto a cura di Franco Zaluardo. Piccolo studio sulla tecnica della Pittura ad Olio antica
Premessa importante
Questa sezione è una sintesi degli studi che sto effettuando sulla pittura ad olio del Rinascimento veneto. E’ frutto dell’analisi e dello studio di varie autorevoli fonti bibliografiche, che cito per chi volesse approfondire, e soprattutto dell’osservazione diretta dei quadri dipinti ad olio delle più importanti gallerie, musei e chiese venete e di Venezia. Si tratta, in altre parole, di un osservazione tecnica e stilistica studiando i dipinti ad olio antichi, un tentativo di capire i materiali, le tecniche e gli stili dei grandi Maestri. Spero che questo mio sforzo possa essere utile anche ad altri. Invito comunque, se si vuole capire veramente un periodo artistico, a guardare i dipinti ad olio dal vivo.
Preparazione dei supporti: l’ imprimitura
Gli antichi riponevano una notevole cura nella preparazione dei suppporti che dovevano ricevere la pittura. Vi sono diversi tipi di imprimiture che variano a seconda dei materiali usati ed a seconda dei supporti. I legni usati generalmente per le tavole erano di pioppo (nella scuola italiana con maggiore frequenza) o di quercia (quest’ultimo più usato dai fiamminghi). Poi si passò progressivamente all’uso di tele di canape o di lino (già molto prima del cinquecento si usavano tele incollate alle tavole, anche il cennini ne parla: il loro uso era antichissimo). L uso delle tele sostenute da telai fu man mano preferito alle pesanti tavole. Il motivo è che quest’ultime permettevano di realizzare grandi quadri facilmente trasportabili per la leggerezza. Sono documentate varie tipologie di imprimiture realizzate a seconda del supporto. L esigenza primaria delle imprimiture su tela comunque a differenza di quelle su tavola era evidentemente la necessità di una maggiore elasticità probabilmente ottenuta con colle di glutine e l’uso di olio nell’impasto. Quindi a seconda del suppporto e della bottega potevano essere usate metodologie e dosaggi diversi. Tra le numerose tipologie di imprimiture ve ne sono anche di documentate con colla di farina di frumento con l’aggiunta di gesso o creta (carbonato di calce). Una imprimitura adatta per le tavole poteva per esempio essere costituita da colla di formaggio (caseina) e gesso. Si passava poi presumibilmente ad una seconda imprimitura di grafite e di nero di vite sciolta in una leggera quantità di olio. Quest’ultimo aveva una funzione anche di riduzione dell’assorbimento del gesso e quindi questo contribuiva ad una migliore saturazione dei colori mantenedone una buona brillantezza. I dipinti su tela erano presumibilmente con questa seconda imprimitura che ne garantiva una maggiore elasticità. Per la tela si scelsero colle meno rigide della caseina (la cosidetta colla di formaggio), quest’ultima adatta per le tavole per la sua rigidezza ed insolubilità che ne garantiva una maggior resistenza all’umidità.
Quindi in definitiva nel corso del XVI secolo alla preparazione tradizionale a colla e gesso (che era una imprimitura chiara) seguirono sempre più preparazioni colorate che andavano spesso a sovrapporsi ad una prima imprimitura di gesso e colla e contenevano anche dell’olio di lino o di noce con l’aggiunta di pigmento colorato. Citando le parole del Vasari nella sua opera famosissima “le vite” troviamo una descrizione eccola: “Ma per mettere in opera questo lavoro si fa così: quando vogliono cominciare, cio è ingessato che hanno le tavole o quadri, gli radono, e datovi di dolcissima colla quattro o cinque mani con una spugna, vanno poi macinando i colori con olio di noce o di seme di lino (benché il noce è meglio, perché ingialla meno), e così macinati con questi olii, che è la tempera loro, non bisogna altro, quanto a essi, che di stendergli col pennello. Ma conviene far prima una mestica di colori seccativi, come biacca, giallolino, terre da campane, mescolati tutti in un corpo et un color solo, e quando la colla è secca impiastrarla su per la tavola: il che molti chiamano la imprimatura”.
Sempre il Vasari, l’ illustre artista del Rinascimento, parlando delle tele a olio e della loro preparzione scrive ancora: “Gli uomini, per potere portare le pitture di paese in paese, hanno trovato la comodità delle tele dipinte, come quelle che pesano poco et avvolte sono agevoli a traportarsi. Queste a olio, perch’elle siano arrendevoli, se non hanno a stare ferme non s ingessano, attesoché il gesso vi crepa su arrotolandole; però si fa una pasta di farina con olio di noce, et in quello si metteno due o tre macinate di biacca; e quando le tele hanno auto tre o quattro mani di colla che sia dolce, ch’abbia passato da una banda a l’altra, con un coltello si dà questa pasta, e tutti i buchi vengono con la mano dell’artefice a turarsi. Fatto ciò, se li dà una o due mani di colla dolce e dapoi la mestica o imprimatura, et a dipignervi sopra si tiene il medesimo modo che agl altri di sopra raconti”. In un altro passo dalle vite: “questo modo è paruto agevole e comodo, si son fatti non solamente quadri piccoli per portare attorno, ma ancora altre opere di storie grandissime; come si vede nelle sale del palazzo di san Marco a VENEZIA, ed altrove: avvegna che dove non arriva la grandezza delle tavole, serve la grandezza e il comodo delle tele“.
Considerazioni: Per le tele fondamentali risultavano quindi essere per l’elasticità la biacca e l’olio. Per le tavole invece l’imprimitura era fatta con gesso e colla. Un imprimitura a gesso e colla è molto assorbente ed è più adatta alla tempera. L olio infatti su un imprimitura a gesso e colla viene assorbito in gran quantità e dato che col tempo ingiallisce fa ingiallire anche un po la preparazione che lo ha assorbito. Molto importante per la conservazione della luminosità di un quadro ad olio è il fondo bianco. Il quadro fatto con il medium olio nel tempo ingiallisce e scurisce ed inoltre vi è una perdita di capacità coprente. Se il fondo è bianco però la perdità di capacità coprente compensa l’inscurimento dell’olio facendo affiorare il biancore dell’imprimitura. Comunque il grado di assorbenza e soprattutto la porosità dell’imprimitura hanno un ruolo importante per l’aderenza degli strati pittorici. Importante è anche la porosità perchè un fondo troppo liscio potrebbe far scivolare la pittura (soprattutto con l’uso dell’olio di papavero che si restringe molto nell’asciugatura ed è più sensibile al calore, più di dell’olio di lino). Molto importante nella pittura ad olio è dipingere grasso su magro e quindi gli abbozzi vanno dati più a corpo mentre le velature finali sono più diluite.
Gli Oli
Gli antichi usavano olio di noce o di papavero crudi e purificati. (Un metodo semplice per schiarire un olio è di esporlo per lungo tempo al sole su una bottiglia di vetro o cristallo). La caratteristica di questi oli è che nel corso del tempo ingialliscono meno di altri tipi di olio. L ingiallimento è dovuto al processo di ossidazione nel corso del tempo. L olio di papavero ingiallisce meno, ma essica molto lentamente. L olio di lino pur avendo il vantaggio di seccare più velocemente degli altri olii ha il difetto di ingiallire maggiormante per la presenza in maggior quantità di acido linoleico. Provate a far seccare dell’olio di lino e lasciatelo in assenza di luce: noterete ben presto a distanza di poco tempo un notevole ingiallimento.
I Colori
La caratteristica peculiare della pittura veneta sta proprio nel colore. Nella pittura veneta il colore e la luce assumono un ruolo determinante. I colori della pittura veneta sono molto vivi ed hanno cromatismi in genere molto accentuati. Comunque è da dire come sempre che la caratteristica fondamentale dei grandi maestri del passato come di tutti i grandi maestri è la capacità di ottenere con l’uso di pochi colori una gran varietà cromatica e tonale. Stupisce la gran maestria di ottenere con pochi mezzi risultati mirabili. E proprio l’uso di pochi colori resistenti alla luce che ha permesso un ottima conservazione delle loro opere. I colori tradizionalmente usati principalmente (non è la lista completa) sono per il giallo:Il giallorino e l’orpimento. Per il rosso: il ginapro vermiglione e la terra di siena bruciata la lacca della robbia (quest’ultima era usata sprattutto per le velature). Per l’azzurro: azzurro di smalto o vetro di cobalto (chiamato anche fritta di alessandria). A Venezia i pittori veneziani lo trovavano facilmente grazie all’industria fiorente del vetro. Poi il blu oltremare naturale pietra preziosa da cui si ottenevano i bellissimi famosi azzurri di lapislazzuli tipici della pittura veneta. Per il bianco: biacca o cerussa che è carbonato basico di piombo (colore resistentissimo mischiato con l’olio. E giustamente sconsigliato nell’affresco tecnica in cui si usa in genere il bianco di san giovanni che è calce spenta. Questo perchè a contatto con i gas solfidrici dell’aria annerisce nel corso del tempo. Cosa che è successa per esempio negli affreschi di Cimabue ad Assisi). Questo bianco anche se molto velenoso ha il vantaggio di seccare molto velocemente e da dei bellissimi riflessi (io personalmente lo uso). I neri in genere erano perlopiù esclusi dalla pittura. Leonardo per esempio si sa che adoperò la grafite. Nel cinquecento i toni scuri venivano ottenuti soprattutto dai bruni e per mescolanza come per esempio la terra d ombra bruciata a cui venivano aggiunti altri colori in tenue quantità. I grandi maestri sapevano ottenere per mescolanza il cosiddetto bistro o nero pittorico che pur essendo molto scuro conferisce una certa profondità e lascia inalterata la luminosità del quadro (luminosità che si spegne con l’uso per esempio del nero d avorio e in genere nei neri che sono fin troppo coprenti). La luce nel nero pittorico bistro ottenuto per mescolanza non viene riflessa ma penetra maggiormente creando nelle ombre un grande effetto di profondità. Si parla in questo caso di luce profonda del quadro. Credo che giochi un ruolo importante anche la granulometria del pigmento e la quantità di olio nell’impasto per determinare quei mirabili effetti nei toni scuri che si notano sempre nei quadri antichi.
Considerazioni generali sulle vernici usate nella pittura ad olio
La vernice è lo strato più esterno di un dipinto ed è posta a protezione finale dell’opera. La vernice conferisce a seconda delle sue caratteristiche più o meno brillantezza e profondità. E lo strato maggiormente sottoposto agli agenti esterni di alterazione: quindi per la conservazione assume un importanza fondamentale. Alla vernice quindi è affidata la protezione del quadro e di conseguenza la durata e l’inalterabilità nel tempo dello strato pittorico sottostante. Nota importante: la vernice va sempre posta dopo un periodo lunghissimo di parecchi mesi (anche un anno) in modo da dare il tempo ai colori ad olio di essicarsi completamente. La lunghezza del periodo dipende dallo spessore degli strati dipinti ad olio. Le caratteristiche che dovrebbe avere una buona vernice sono trasparenza cristallina, elasticità alle sollecitazioni meccaniche e termiche, resitenza alla luce e agli agenti esterni, capacità di non risentire ed assorbire l’umidità. Infine dovrebbe essere facilmente rimossa dal dipinto senza l’uso di metodi aggressivi. Infatti la pulitura di un dipinto dalla sua vernice rovinata (o del tutto oscurita e alterata) al fine di sostituirla con una nuova è un operazione molto delicata per i restauratori e per quanto possa essere effettuata con delicatezza usando metodi e sostanze appropriate poco agressive è pur sempre e comunque una sollecitazione non indifferente sulla superficie pittorica del dipinto. Sull’argomento vernici usate nell’antico è molto difficile parlare con certezza, per cui come vedete ne parlo genericamente e con molta cautela. Il motivo è che la vernice usata nell’antico costituisce più di altre cose un incognita, sia perchè i materiali usati nelle vernici sono quelli che hanno subito un alterazione chimica (degrado) maggiore nel tempo (che ne rende difficile l’analisi) sia soprattutto perchè i restauri dei secoli scorsi hanno posto sulla pittura nuove vernici in sostituzione delle antiche. Fino al XIX secolo era infatti invalsa la pratica di verniciare sistematicamente i dipinti.
NEL 500 (DI CARLO LINZI): E ipotizzato che i pittori del rinascimento ed in particolare i veneti abbiano usato con un ultima leggera velatura l’asfalto. L asfalto (bitume) infatti opportunamente preparato e naturalmente usato da solo alla fine, per la sua resistenza protegge e conferisce al dipinto un giallo dorato caratteristico che armonizza i colori e dona profondità nei toni scuri.
D altro canto l’uso del bitume ha parecchi inconvenienti e pericoli: può attraversare gli strati pittorici e può far screpolare i dipinti.