La Porcellana
La porcellana prese il nome da una conchiglia dei mari orientali, la Concha Venerea, che i portoghesi chiamarono porsolana
Fonte: Queste schede tecniche d’antiquariato sono state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro, con la collaborazione della moglie Mara Bortolotto, per la rubrica mensile edita sulla rivista “L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non riportate.
La porcellana prese il nome da una conchiglia dei mari orientali, la Concha Venerea, che i portoghesi chiamarono porsolana a cui fu paragonata per il suo bianco splendente e forse ne fu ritenutone, a torto, uno degli ingredienti costitutivi.
Diversi esperimenti sono stati fatti fin dal Cinquecento per tentare di produrre la porcellana, che giungeva dall’Oriente. La così detta porcellana medicea n’è stato uno dei tentativi più noti (composta di terra di Vicenza, una sorta di caolino impuro, calce, sabbia bianca, vetro e cristallo di rocca macinati).
La porcellana Ming influenzò tutte le manifatture di maiolica, che produssero in tutta Europa il bianco e blu. Nel corso del Seicento tali sforzi portarono alla realizzazione di un apprezzabile succedaneo della porcellana, quella detta in pasta tenera. Essa consiste in un insieme di composti: creta bianca, vetro macinato, ecc. la cottura di queste fritte è inferiore ai 1250 gradi.
Per poter fissare i colori si deve ricorrere ad una terza cottura, che spesso porta alla deformazione od alla rottura dei manufatti. La produzione è difficoltosa e molto costosa, perciò non si riesce a realizzarne grandi quantità. Per la rarità e per il suo aspetto particolarmente cremoso e morbido essa è oggi particolarmente ricercata dai collezionisti.
In Inghilterra si sono fabbricate anche: la porcellana d’ossa o porcellana calcarea, detta Bone China, composta d’argille bianca e polvere d’ossa; quella detta Soapstone China, fatta di selce calcinata e steatite (varietà di talco detta anche pietra sapone, in inglese soap); la Stone China, più dura e prodotta con la polvere d’ossa ed uno dei componenti della porcellana cinese il pë-tun-tze; l’Iroston China, con la miscelazione di scorie di ferro.
Il così detto oro bianco è stato inventato dai cinesi, che utilizzano il caolino (idrosilicato d’alluminio), che fonde oltre i 1700 gradi, chiamato Kao-Ling (alta collina, indica il luogo elevato da cui si estrae), miscelato con il pë-tun-tze, fusibile a base di rocce feldspatiche (silicio d’alluminio), che è conservato in mattonelle (in cinese pai-tun-tzu significa mattonella).
Per raffinare le polveri si preparavano trenta catini sovrapposti uno sull’altro, in quello alla sommità si poneva la polvere e poi si faceva scorrere l’acqua a cascata da un catino all’altro; le polveri si depositano dalla più grossolana alla più fine, quella dell’ultimo catino era utilizzata per la realizzazione della famosa pelle d’uovo, una porcellana trasparentissima appunto di tale spessore.
Dopo averlo miscelato si lasciava riposare l’impasto per molto tempo. Per produrre gli impasti più raffinati sembra che essi fossero sepolti sottoterra a marcire per oltre cinquanta anni. Una volta modellati, i prodotti sono ricoperti da una vernice ottenuta dallo stesso pë-tun-tze.
Durante la cottura, inferiore a quella di fusione del caolino, il pë-tun-tze fonde vetrificando, legando i grani di caolino e dando al tutto un aspetto lucente. I manufatti sono protetti dalle fiamme entro cassette di terra refrattaria. S’ ignora la data esatta dell’invenzione della porcellana in Cina, ma si sono trovati vasi protoporcellanosi prodotti già mille anni a.C.
La scoperta della porcellana in pasta dura, come quella orientale è merito di Johan Friedrich Böttger, che a Meissen nel 1708 realizzò un impasto di caolino (un’argilla bianca incombustibile, che mantiene il colore e resta solida durante la cottura, tanto fine che fu usata anche per incipriare le parrucche), feldspati e quarzi fusibili cotti ad alta temperatura, tra i 1300 ed i 1400 gradi. Poco dopo inventò anche una vernice adatta alla “vetrina”, copertura trasparente, che rende brillante la porcellana.
Curiosamente questo alchimista giunse a tale scoperta, mentre tentava di produrre l’oro. La transunstanzazione di una materia in un’altra costituì una delle ossessioni del Settecento; si comprende quindi quanto l’unione di elementi alchemici fondamentali , quali il fuoco, l’acqua e la terra, stupisse il pubblico, originando un materiale solidissimo, trasparente ed inattaccabile agli acidi quale la porcellana.
Questo materiale presenta una superficie compatta e tanto dura da non potersi incidere con l’acciaio; inoltre per fissare i colori sono necessarie solo due cotture. L’alta temperatura di cottura del biscotto, così si chiama la porcellana non coperta da vetrina con cui si realizzarono i bianchi biscuit, permette successive cotture a piccolo fuoco senza subire conseguenze perniciose.
La proporzione media a secondo delle manifatture era di 40/65 % di caolino, 15/35 % di feldspati, 12/30 % di quarzi. Il problema maggiore è costituito dal ritiro del manufatto verde (cioè ancora crudo) in fase d’essiccazione, prima della cottura, che può arrivare fino al 20 %.
Nell’impasto cinese sono presenti il 2 % circa d’impurità, costituite prevalentemente da mica, che lo rendono malleabile. Gli europei impiegarono parecchio tempo ad accorgersene, in quanto setacciavano il materiale per renderlo il più puro possibile e per questo furono a lungo costretti a servirsi di stampi.
Artigiani fuggiti da Meissen rivelarono il segreto a Vienna, che aprì una fabbrica, e da qui esso giunse a Venezia dove l’orafo Francesco Vezzi fondò nel 1720 la terza manifattura europea.
Da questo momento non vi fu principe, che non volesse una prestigiosa fabbrica di porcellana sui suoi territori. La produzione della porcellana era così costosa, da richiedere la protezione dei principi, che a volte si rovinarono per mantenerla attiva. Solo nell’Ottocento si giunse alla produzione industriale della porcellana, fino ad utilizzarla anche per manufatti poco costosi, come i sanitari.