Le Chiavi nella storia: Le chiavi romane
Fonte: Testi e immagini nella forma integrale sono pubblicati sul libro “Le antiche chiavi, tecnica, arte e simbologia” di Roberto Borali, Burgo editore 1993.
dal 150 a.C. – fine V secolo d.C.
L’uso del ferro per la produzione di strumenti e armi costituì un importante stadio tecnologico nel mondo antico. Lo sviluppo di Paesi, quali la Grecia, l’Etruria e Roma, fu condizionato moltissimo dall’apporto di questo forte e duttile metallo, che sostituì, nella immediata utilità pratica, il rame e il bronzo, fornendo utensili alle arti, ai mestieri artigiani, ai lavori dei campi e armi per la difesa e per l’offesa. I Romani furono tra i primi in Europa a conoscere perfettamente la tecnica di forgiatura del ferro.
SI può affermare, con una certa sicurezza, che, qualche secolo prima della nostra era, costruissero e usassero chiavi e serrature di metallo con le caratteristiche di quelle attuali. Inoltre essendo, da sempre, abilissimi a fondere il bronzo, utilizzarono sia chiavi forgiate in ferro sia fuse in bronzo.
Roma, per prima in Europa e nel mondo, perfezionò ogni tipologia di bloccaggio: quello con funzionamento della chiave a rotazione, il più noto e il più usato nei secoli; quello con funzionamento della chiave a doppia spinta, caratteristico di quest’epoca e usato fino circa al 700 d.C.; e quello con funzionamento della chiave per sollevamento (capucine), usato più raramente, ma di continuo nei secoli.
Schema d’uso della chiave a “doppia spinta”.
1) piastra
2) molla di spinta
3) chiavistello
4) pettine a più denti
5) staffa di scorrimento
6) perni di bloccaggio
7) fori di riscontro
8) chiave
Dopo che il pettine era stato inserito nei fori di riscontro bisognava spingere la chiave verso l’alto per sbloccare i perni di bloccaggio e tirarla energicamente, per spostare il chiavistello.
La forma delle chiavi in ferro è quella classica che ci è familiare: (immagine di copertina). impugnatura, asta e pettine. Il sistema di forgiatura usato fu quello della chiave maschia dal massello. Le impugnature sono tonde, rare volte ovali, talvolta sormontate da una piccola bigna. Le basi sono spesso di forma rettangolare, in quanto la sezione del fusto era quasi sempre rettangolare. Le poche chiavi in ferro con l’asta di sezione circolare sono quelle di piccole dimensioni con l’impugnatura snodata usate per i lucchetti. Le aste sono sempre piene e piuttosto corte; i pettini sono composti da più denti verticali che, a seconda del numero, della disposizione e della forma (sezione), davano la possibilità di infinite combinazioni.
L’originalità di questo tipo di chiave detta chiave a doppia spinta consisteva nel suo funzionamento: veniva spinta verso l’alto per sbloccare i perni di bloccaggio e tirata a destra o a sinistra per trascinare il chiavistello.
Chiavi romane in ferro forgiato. Italia centrale, II-III secolo d.C. Modo d’uso a “doppia spinta”. La piccola: impugnatura tonda, base rettangolare impreziosita dall’ageminatura in oro, fusto di sezione rettangolare, pettine a 8 denti ricavato dal proseguimento dell’asta piegata ad angolo retto. L’altra: impugnatura tonda, base rettangolare molto marcata, fusto di sezione rettangolare, pettine a sei denti ricavato dal proseguimento dell’asta. I numerosi ritrovamenti hanno accertato che questo tipo di chiave fosse molto in uso in quell’epoca. Lunghezza 6.5 e 5 centimetri.
Le chiavi fuse in bronzo, al contrario della semplicità di quelle in ferro, sono generalmente di una bellezza straordinaria. Gli scavi di Ercolano e di Pompei, riportandone alla luce in grande numero, ci hanno dato la possibilità di constatarne la notevole bellezza. Per la fusione veniva usato bronzo nella lega classica, 85 per cento di rame e 15 per cento di stagno, e la tecnica impiegata quella della fusione a cera persa. Le impugnature, monumentali, sono di forma geometrica, zoomorfa o a volute. Le basi sono molto marcate e hanno la forma di capitelli o basamenti. L’asta, di sezione rettangolare se maschia, o tonda se femmina, è di lunghezza ben proporzionata. I pettini sono spesso ancora più elaborati di quello delle chiavi in ferro e sono composti da molti denti con l’aggiunta in alcuni casi di una o due complicazioni laterali, di forma simile alle mappe dei pettini a cartella, nel caso di chiavi a doppia spinta, o da intricate mappe, per chiavi a rotazione o a sollevamento.
Le stanze interne delle case romane non avevano porte, a parte una robusta, di ferro, a protezione del luogo dove venivano tenuti la piccola cassaforte con il denaro e gli oggetti preziosi di famiglia. Mentre per aprire le serrature delle porte si usavano i tipi di chiave descritte, per aprire quella della piccola cassaforte era utilizzata una chiave detta sigillo. Questa chiave ha la forma di un vero e proprio anello con una guarnizione superiore che serviva, oltre che da decorazione, come pettine per aprire e chiudere la serratura e, in alcune chiavi, anche come timbro da imprimere sulla cera applicata ai documenti. Per quest’ultima ragione prese il nome di sigillo.
Per i Romani, inoltre, l’inusuale anello ebbe anche una precisa funzione simbolica. Avevano infatti l’abitudine di regalarlo alla propria moglie il giorno delle nozze a delega della gestione finanziaria familiare e a dimostrazione di stima e di fiducia (fides).
Molti studiosi, addirittura, vedono in questa antica usanza l’origine dello scambio delle fedi durante la cerimonia nuziale. Tanto piccolo era sigillo, tanto grandi erano le chiavi delle imponenti porte dei templi e dei palazzi pubblici. Così grandi e ingombranti che, anzichè essere portate, come normalmente si usava, appese alla cintura della tunica, venivano affidate, come si può notare in alcune sculture, a un servo detto portiarius, che le reggeva sulle spalle.
Chiavi romane in bronzo fuse a “cera persa”. Italia centro-settentrionale, II-IV secolo d.C. La piccola: impugnatura ovale con sperone superiore a flange rettangolari, base rettangolare con scanalature, asta cava, di sezione tonda, pettine di forma rettangolare, modo d’uso a “rotazione”. La grande: impugnatura piatta rettangolare di grandi dimensioni con foro nella parte alta, asta molto corta, piena, di sezione rettangolare, impreziosita da incisioni geometriche, pettine di sezione rettangolare composto da due denti di sezione rettangolare con intagli diagonali e da un dente di sezione quadrata con intagli diagonali incrociati, modo d’uso a “doppia spinta”. L’altra: chiave ad anello (sigillo) con incisioni a motivi geometrici, pettine (decorazione superiore) rettangolare composto da un dente di sezione quadrata con intaglio diagonale, modo d’uso a “doppia spinta”. Lunghezza 5 e 6 centimetri, diametro 2 centimetri.
Dalle due storiche situazioni si può dedurre che la lunghezza delle chiavi romane andava da quella di pochi centimetri del sigillo, a quella di quasi mezzo metro dei portoni dei templi.
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