Galleria Artanda

L’arca, il sogno e il mondo di Carmelina Barbato


A distanza di oltre sette anni dall’apertura della Galleria Artanda, , Carmelina Barbato presenta per la prima volta le sue opere con una personale curata dall’amico Arturo Vercellino dal titolo “L’arca, il sogno e il mondo”.





Personale di Carmelina Barbato

Inaugurazione sabato 8 settembre ore 17.00 Via alla Bollente 11, Acqui Terme (Al) 

8 – 30 settembre 2012
Vernissage Enoteca Regionale di Acqui Terme
Apertura dal martedì al sabato dalle 17.00 alle 20.00  

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… Noè uscì con i suoi figli, con la moglie e le mogli dei suoi figli. Tutti gli animali, tutti i rettili, tutti gli uccelli, tutto quello che si muove sulla terra, secondo le loro famiglie, uscirono dall’arca. (Genesi)”          

                                   

La naturale fusione di estro e regola è alla base dell’opera di Carmelina Barbato, ne rispecchia il carattere effervescente, svincolato da qualsivoglia schema e al tempo stesso tenacemente ordinato. Le sue composizioni, dai bizzarri caratteri primitivi ed infantili, sono realizzate con appassionata ostinazione e laboriosità: un fervore tutto manuale al servizio di una singolare inventiva.

Ne è conferma questa mostra che prende spunto dall’arca di Noè, metafora di casa-rifugio, e dal ritorno all’esistenza, al mondo di tutti i suoi componenti. Studi progettuali, a china ed acquarello, precedono gli accesi collages, i cui pezzi di stoffa scelti con cura meticolosa, vengono cuciti al supporto di iuta con fili di seta, oro e argento. Il lavoro, apparentemente frutto di improvvisazione, oltre che da bravura o correttezza tecnica, nasce da un misterioso slancio che anima un tumultuoso processo creativo. E l’ingenuità, l’aria onirica si rivelano un gioco dell’intelligenza, un esercizio di leggerezza. Sospese a metà fra il cielo e la terra, le figure sembrano galleggiare in un tempo originario che, forse, è proprio quello del sogno, una terra di mezzo fra concretezza e trascendenza.          
In questa dimensione, Carmelina, prendendo spunto dalla storia, vuole raccontare una fiaba bagnata di verità. Lo fa su carta con una linea, ora leggera, ora marcata
o piena, che non è un semplice mezzo per contenere una sembianza o tracciare un profilo ma, potenziata da pigmenti crepitanti, orchestra una vivace sinfonia. Un universo simile a una festa irreale, ma non solo fuga immaginaria, trascina nelle sue danze ciò che incontra senza distogliere lo sguardo dalla realtà.                              
Tutto si trasforma, poi, negli arazzi polimaterici, costituiti per aggregazioni di ritagli di tessuto e di materiali quanto più possibile diversi, scelti sulla base di considerazioni connesse a colore, attitudine a riflettere più o meno la luce, palpabilità.                    
I personaggi e le cose subiscono una radicale semplificazione, mantenendosi, però,  più vicini e presenti di quanto non fossero se rappresentati con tutti i particolari e privi, dunque, di quella vita incredibile che rende tutto magico. L’artista, dilatando il visibile e immettendolo nel fantastico, approda, così, ad atmosfere più incantate, slegate da ogni propensione descrittiva e protese verso un surrealismo lirico. Ciò che conta sono le relazioni cromatiche e i ritmi ponderati, valori aggiunti traboccanti di una connotazione vitalistica, voce di una visione della vita più ampia e libera che, pur conoscendone gli affanni, non intende rassegnarsi passivamente, come volesse trovare una risposta alle speranze e alle inquietudini.                                
Sulla scena di ambienti seducenti si ritrova la commedia di ogni giorno fra uomini e animali, fra la speranza di chi crede ancora nel futuro, conscio di poterlo salvare, e di chi istintivamente vorrebbe tornare a rifugiarsi sull’arca. E allora a svettanti grattacieli interrotti da una nuvola rossa, a esplosioni deflagranti, si alternano ballerine accennate con particolare gusto decorativo, o una rassicurante maternità dai toni dolcissimi. In successione, poi, una finestra che si apre sul paesaggio, marcata da tinte forti, con un bene augurante volo di coccinelle, e la sagoma di un contadino in mezzo alla campagna si frappongono ad un notturno in cui, con i tondi occhi vigili, campeggia un gufo tattile.                                                             
Infaticabile rabdomante alla ricerca dell’acqua, la caparbia artigiana, al pari di un bambino in stato di grazia, sa trovare le forme e i toni adatti a trasfigurare genialmente tutto ciò che vede in sé e nella natura.                                                       
Adattando, senza forzature, una frase estrapolata da un saggio di Gillo Dorfles su Mirò, credo che, per il suo temperamento limpido e disincantato al tempo stesso, per il suo sentirsi partecipe tanto delle gioie che dei dolori, degli slanci e delle sconfitte,
Carmelina ci abbia regalato lo scampolo autentico di una generazione posta allo spartiacque tra una imminente rovina e un possibile riscatto, consegnandoci un      mondo stupefatto dove ognuno può anche ritrovare parte dei suoi sogni.                         
ARTURO VERCELLINO  

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