Art Deco – Storia del Mobile
Fonte: Associazione Senzatempo. Prof. Paolo Cesari
L’ inizio del conflitto del 1914 precipitò il mondo una tragedia la cui portata segnò la fine di un era, della Bella Epoque e dell’Art Nouveau.
Alla fine della guerra, con il radicale cambiamento che investì la società europea, era inevitabile che mutasse anche lo scenario estetico, e con esso l’arredo che è parte integrante del vivere quotidiano.
Nel mobile alle forme curvilinee e alle delicatezze femminee che così nitidamente contraddistinguono l’ epoca Liberty, si preferisce ora la chiara geometria indicata da Picasso e da Braque già prima del 1914, teorie che sono alla base dell’affermarsi del movimento Cubista.
Il linearismo geometrico-cubista che sarà il motivo firma degli arredi di Stile Art Decò trova importanti antecedenti in Mackintosh e in van de Velde e uno dei suoi primi autentici antesignani in Joseph Hoffmann. Non senza ironia sarà proprio un francese a decretare il successo del nuovo funzionalismo modernista, ponendosi agli antipodi rispetto alla precedente produzione, Jacques-Emile Ruhlmann è forse da indicarsi come il massimo esponente dello stile oggetto di questo capitolo, che conosce il suo apogeo nel 1925, con la grande esposizione di arti decorative svoltasi in Parigi. Fu un occasione dove la mobilia a geometria lineare, di forma sobria e pulita, con designer che sovente inserivano forniture in ferro o in acciaio disposte con infallibile grazia, fu sommamente apprezzata dal grande pubblico. Uno degli arredi più celebri di questo periodo, realizzato tra il 1920 e il 1922, è la casa della rinomata sarta francese Jeanne Lanvin, la cui esecuzione spetta a Albert Rateau, la cui ricostruzione è oggi visibile al Museo di Arti Decorative parigino. Si tratta di un contesto arredativi che rende dozzinali e mediocri anche le migliori esecuzioni dovute alla corrente Bauhaus che giunge a estremizzare i concetti dell’Art Decò con esempi di eccessivo schematismo formale, con mobilia scheletrica e dozzinale, anche se motivata da istanze di utilitarismo funzionale.
Se nello stile precedente la manualità artigianale era stata una condizione sine qua non ora si è tornati ad affermare il predominio e la necessità di servirsi di mezzi meccanici seriali, come pretende a grandi numeri la clientela nella sua stragrande componente di massa, solo in rade occasioni e per committenza di capaci possibilità economiche si giunge a creare manufatti di particolare interesse estetico.
In questi anni muore, e forse per sempre, quella grande tradizione d arte lignaria che fin dal medioevo aveva disseminato la storia di grandi capolavori.
Ora più che al singolo artefice l’esecuzione di un modello è demandata al designer o a architetti sovente di fama internazionale, come Le Corbusier o Alvar Aalto o ancora a volgarizzazioni di moduli stilistici viennesi elaborate da disegnatori finlandesi e tutto, comunque, rigorosamente eseguito in scala industriale. Il pubblico fin da questi anni è plagiato dai mass media che a tavolino elaborano il successo di una linea o di una marca, all’insegna di arredi diremmo oggi “griffati”, ma sovente tutt altro che comodi e funzionali e spesso di moda resa effimera, non appena per esigenze produttive si è pronti a lanciare sul mercato nuove illusioni medianiche.
Certo non mancano isole felici, come nel caso di arredi la cui firma è legata al nome del bravissimo Eero Saarinen, ma dal primo dopoguerra a oggi risulta evidente che molto si è perso e poco rimane da tramandare a testimonianza dei giorni nostri alle generazioni future.