Aggiunte e rifacimenti
Fonte: liberamente tratto da “Il Restauro dei dipinti e sculture lignee” di Giuseppina Perusini – del Bianco Editore |
Dalla “Teoria” del Brandi ad oggi
Il problema della pulitura è forse uno dei più delicati e difficili del restauro poiché non esistono delle norme, se non molto generiche che possano guidare il restauratore alla cui capacità è spesso affidata in gran parte quest’operazione. Un errata pulitura infatti può provocare dei danni irreparabili, mentre una reintegrazione mal fatta può spesso essere rimossa senza pregiudizio per l’originale.
Da quanto detto risulta evidente che esistono vari criteri di pulitura legati a diverse impostazioni teoriche.
Il Brandi è forse il primo che ha analizzato il problema della pulitura partendo da quella che egli giustamente individuò come la caratteristica fondamentale delle opere d arte, ovvero la duplice istanza storica ed estetica che esse presentano.
Rifacimenti ed Aggiunte
Secondo l’istanza storica l’opera d arte andrebbe considerata come un qualsiasi prodotto del fare umano e quindi le varie modificazioni a cui fu soggetta andrebbero conservate, in quanto documenti del suo passaggio nel tempo. Lo stesso Brandi però, analizzando ulteriormente queste modificazioni, le distinse in «rifacimenti» ed «aggiunte», considerando «rifacimenti» quegli interventi volti a riplasmare l’opera rifondendo il vecchio col nuovo in modo tale da non distinguerli.
L’ implicita o esplicita pretesa del rifacimento è sempre di abolire un lasso di tempo, sia che l’intervento voglia farsi assimilare al tempo medesimo in cui l’opera nacque sia che invece voglia completamente rifondere nell’attualità del rifacimento anche il tempo precedente. Abbiamo allora per l’istanza storica due casi opposti: infatti mentre il primo caso (intervento attuale che vuoi essere retrodatato) rappresenta un falso storico e non è mai ammissibile, il secondo, sebbene non rientri nel campo del restauro, può essere perfettamente legittimo perché è sempre una testimonianza autentica del fare umano.
L «aggiunta» invece tende a svolgere e completare un opera, senza ricalcarne l’ aspetto iniziale ma innestandosi in essa e quindi, per l’istanza storica, andrebbe sempre conservata.
Se invece consideriamo il problema dei rifacimenti e delle aggiunte secondo l’istanza estetica, la rimozione o la conservazione è sempre legata al giudizio sul loro valore estetico. Un rifacimento (che non abbia la pretesa di assimilarsi all’originale) andrà pertanto conservato nel caso abbia raggiunto una nuova unità artistica e anche la rimozione o la conservazione di un «aggiunta» dipenderà dal suo valore estetico ed eventualmente dal disturbo che arreca alla lettura dell’originale.
Anche altri studiosi hanno esaminato il problema della rimozione o della conservazione dei successivi interventi su un opera d arte ed hanno proposto varie soluzioni, la cui diversità dipende essenzialmente dal diverso valore conferito all’una o all’altra delle due istanze (quella estetica e quella storica).
Il Philippot, ad esempio, sostiene che un restauro rigorosamente rispettoso della storicità è pura utopia dato che «o si lascia l’opera come si trova e allora si rispetta la storia, o s interviene e allora sarà l’estetica a prevalere, ma la ragione d essere di un opera d arte è l’estetica e non la storicità ed il compito del restauro è proprio quello di rendere alla struttura estetica la chiarezza perduta. Il restauro resta dunque sempre un ipotesi critica».
Il Pane, avvalorando questa tesi, osserva come l’assoluta imparzialità nei confronti delle varie stratificazioni che possono aver modificato un opera nel corso dei secoli, pecca sia contro l’estetica che contro la storia intesa come interpretazione e giudizio. Si tratta quindi di decidere se certi interventi abbiano o no il carattere di arte e, se non fanno altro che mascherare od offendere l’originale, sarà del tutto legittimo abolirli.
Anche il Baldini sostiene che bisogna dare il giusto valore alla cosiddetta «storia» dell’opera, scindendo da essa quanto è atto valido da quanto è arbitraria deturpazione, poiché «la storia non va tradita portando nel suo alveo atti che non fanno vera e propria storia ma soltanto mera e disutile cronaca»
Questi studiosi rientrano, seppure con posizioni differenti, in quella che il Carbonara definisce la corrente del «restauro critico». A questa si oppone una concezione del restauro inteso come pura conservazione che privilegia quindi l’istanza storica.