Approfondimento Carta di Cracovia
La Carta Internazionale di Venezia per la Conservazione e il Restauro di Monumenti e Siti del 1964, da taluni considerata in sé un monumento , elaborò a suo tempo fondamenti teorici e approcci metodologici che rimangono a tutt oggi per la maggior parte validi.
La Conferenza Internazionale sul Restauro di Cracovia ha voluto essere un occasione per riflettere sulle implicazioni del progressivo ampliamento del concetto di monumento e per fissare quelli che dovrebbero essere gli obiettivi della conservazione del patrimonio alla luce delle nuove esigenze emerse nel contesto culturale della fine del secondo millennio. Se da un lato la Carta di Venezia non poteva prevedere la portata di questo ampliamento, dall’altro sembrò presagirne la direzione. Nei documenti precedenti – risale al 1931 la Carta di Atene – i principi della conservazione erano legati ad esigenze di tipo politico-nazionali per le quali il monumento, nella sua accezione di opera architettonica, era oggetto di salvaguardia sulla base di giudizi di valore di tipo formale e storico. Il diffondersi nel secondo dopoguerra del principio di interesse pubblico mise in luce la necessità di ricollocare la nozione di monumento all’interno di un contesto inteso in termini sia artistici che sociali. In questo senso va letta l’estensione, operata nella Carta di Venezia, della nozione di monumento storico che comprende tanto la creazione architettonica isolata quanto l’ambiente urbano e paesistico che costituisca la testimonianza di una civiltà particolare, di una evoluzione significativa o di un evento storico incluse opere di minor importanza che avessero acquistato un significato culturale . Lo scopo dell’intervento di restauro rimaneva tuttavia quello di mettere in rilievo i valori formali e storici del monumento giudicato autentico sulla base di criteri di natura essenzialmente materiale e formale. Nel corso dei successivi trentacinque anni un numero crescente di Dichiarazioni, Documenti e Carte Nazionali si affiancarono alla Carta di Venezia estendendo ulteriormente la nozione di patrimonio fino a includere città storiche e aree urbane, architettura vernacolare, industriale e moderna, giardini e paesaggi storici; in altre parole i luoghi di rilevanza culturale , come si volle definirli nella Carta di Burra (Australia, 1979), il cui valore per le generazioni passate presenti e future si chiedeva venisse stabilito su basi estetiche, storiche, scientifiche e sociali. Si venne così delineando il concetto di patrimonio culturale, una nozione sufficientemente ampia da accogliere le istanze mosse dai rappresentanti di culture diversissime da quella europea e che in quest’ultima non si potevano riconoscere. Le problematiche emerse da un dibattito divenuto oramai mondiale, costituirono il sostrato del Documento di Nara sull’Autenticità (Giappone, 1994) nel quale si tentò di fissare dei principi universali che riconducessero i valori attribuiti al patrimonio culturale al concetto di identità culturale, intesa come diversità e pluralità da proteggere in quanto risorsa insostituibile di ricchezza per tutta l’umanità. Di qui la necessità di fondare i giudizi di valore e di autenticità del patrimonio culturale non su criteri fissi ma su una varietà di fonti di informazione riguardanti non solo la forma e la sostanza ma anche l’uso, la funzione, le tradizioni, il luogo, lo spirito. In questo complesso e articolato panorama si inserisce la Conferenza Internazionale sulla Conservazione di Cracovia che nel corso di tre anni di intensa attività si è adoperata per raccogliere, ordinare e fissare in un documento finale i molteplici aspetti del patrimonio costruito, nel pieno rispetto per sue valenze tangibili e intangibili. In questo contesto è emersa la difficoltà di stabilire dei criteri di selezione e metodologie universali e la necessità quindi di formulare una nuova strategia, il progetto di restauro, che garantisca flessibilità di scopi e risponda all’esigenza di un approccio multidisciplinare rispetto a istanze conservative anche molto diverse. Nel progetto risiede la possibilità di proporre una soluzione adeguata alle molteplici problematiche che oggi confluiscono nella materia della conservazione, non ultime le questioni di gestione economica e sostenibilità del patrimonio culturale. A testimonianza dell’importanza del fattore gestione, specialmente per quanto riguarda la salvaguardia di città storiche, centri urbani e paesaggi culturali, fa per la prima volta la sua comparsa in una carta una voce dedicata alla funzione di questo settore di competenza sia per quanto riguarda l’ottimizzazione economica del patrimonio sia per quanto riguarda la sua protezione dai fattori di rischio della nuova generazione . In quest’ambito si collocano non solo l’inquinamento, le speculazioni edilizie e la privatizzazione ma anche il difficile equilibrio fra i vantaggi economici e l’omologazione culturale legati al fenomeno del turismo culturale. Tuttavia il progetto di restauro si fonda proprio sull’equilibrio fra fruizione e protezione, fra sviluppo e conservazione, fra economia e controllo, realizzabile solamente sulla base di una comprensione approfondita e multidisciplianare dell’istanza conservativa. In questo particolare approccio risiede forse il puntodi forza della Carta del Restauro di Cracovia 2000 che ampliando gli scopi ed i principi della conservazione e del restauro ha messo al servizio della chiarezza metodologica della Carta di Venezia nuovi strumenti concettuali per la trasmissione del patrimonio culturale nella piena ricchezza della sua autenticità .
Conservare l’ autenticità dell’opera – Ogni ipotetica aggiunta dovrebbe, generalmente, essere riconoscibile e distinta dalla pre-esistenza per la quantità minima ma sufficiente a non sacrificare inutilmente l’unità figurativa propria di ogni singola costruzione. A tal fine è bene mantenere le preesistenze nel loro aspetto e nella consistenza originale.
La massima cura, invece, va riservata a quelle sistemazioni d intorno e/o d ambiente necessarie per prolungare naturalmente la vita delle fonti esterne, grazie all’eliminazione delle più gravi cause di degrado.
Evitare le imitazioni in stile – Una buona consuetudine consiste nell’evitare ingiustificati tentativi d imitazione o di effetti di “finto antico”; ove occorre eseguire piccole ma indispensabili modifiche, è preferibile, senza sacrificare l’unità formale dell’opera, proporre calibrate e discrete espressioni aventi “una valenza espressiva di cultura contemporanea”.
Evitare tentativi di rinnovamento dell’opera – Gli abbellimenti, gli imbellettamenti, le cosmesi, gli ammodernamenti generalizzati e qualsiasi forma di riconduzione al nuovo, di ripristino o di presunta ricerca dello stato originario dell’opera, sono operazioni che nulla hanno a che vedere con la conservazione.
In ogni caso occorre considerare che, il segno del trascorrere del tempo è un valore storico ed estetico di straordinaria efficacia. Rispettare, nell’eseguire qualsiasi genere di lavoro, il principio del minimo intervento – Nell’uso di qualsiasi tecnica, anche se poco invasiva e reversibile, occorre fermarsi poco prima del giusto, evitando in tal modo di eccedere o esagerare ed escludendo, in ogni caso, tutti quei lavori che non sono strettamente necessari (direttamente o indirettamente) alla conservazione dell’opera.
Rispettare il principio della reversibilità degli interventi – In questa ottica lavorare per “aggiunte” è meglio che per “rimozioni”; ogni aggiunta è, infatti, rimovibile, mentre l’atto del rimuovere è sempre irreversibile.
Rispettare i principi della compatibilità meccanica, chimica e fisica – Il rispetto della compatibilità fra i materiali costituenti la preesistenza e quelli a questa aggiunti per integrazioni o per riparazioni è una condizione che assicura all’insieme un comportamento omogeneo nel tempo. In tal modo si evitano le differenti reazioni alle sollecitazioni indotte dall’ambiente ed i conseguenti fenomeni di distacco, di scorrimento differenziale, di stati di coazione e/o di sovraccarico localizzato; Tali fenomeni sono notoriamente capaci di accelerare il degrado in corrispondenza delle zone poste ai margini dell’intervento.
Assicurarsi sull’effettiva durabilità degli interventi – La durata delle parti antiche e di quelle moderne (aggiunte) dovrebbe essere sostanzialmente uguale. Per le sostanze protettive e per i lavori di manutenzione si può accettare una durata di cinque-dieci anni, mentre negli interventi di sostituzione o integrazione la durata dovrebbe essere paragonabile a quella delle parti originali circostanti.