Arte del Mobile in Italia: parte terza
Con questo articolo termina il ciclo che analizza l’Arte del mobile in Italia dal punto di vista del repertorio decorativo analizzando il succedersi degli stili fino ai giorni nostri.
Fonte: Laboratorio di Restauro di Sandro Rongione
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Il Novecento
Il mobile nell’Italia postunitaria (1860-1900)
La contrapposizione fra il passato e il presente faceva leva da un lato sulla staticità del sistema aristocratico e dall’altro sulla dinamicità di un nuovo ideale democratico, ravvisando in quest’ultimo la possibilità di formulare e sviluppare un’inedita linea di pensiero e di azione. Lo stato di crisi e la conseguente volontà del suo superamento nascevano da un’attenta osservazione della produzione corrente che, nella seconda metà dell’Ottocento, si basava in massima parte sulla ripresa degli stili storici del passato spesso ridotti a livello di curiosità pittoresca, evocazione romantica o novità commerciale.
La stessa industria con le nuove potenzialità tecnologiche poteva in parte essere ritenuta responsabile di quella che ormai si manifestava come una crisi del linguaggio e uno scadimento generalizzato del livello di gusto: essa aveva infatti scelto la strada del conformismo stilistico, accentuandone le caratteristiche più deteriori attraverso l’uso degli strumenti meccanici.
Così gli oggetti prodotti secoli prima dalla creatività individuale artigiana per un pubblico selezionato venivano riproposti ( Revivals )citando con libertà indiscriminata dalle più svariate stagioni artistiche: il Romanico, il Gotico, il Rococò, il Cinquecento, con intrusioni nell’esotico e nelle civiltà orientali.
L’Esposizione di Torino fu la spia più evidente di uno sforzo collettivo già avviato, ma non ancora sedimentato, situantesi all’incrocio tra la fase finale e la fase iniziale di due correnti intellettuali di segno opposto: da una parte le regole e le inibizioni accademiche con le tendenze affini (il classico, il pragmatico, il rappresentativo e l’eclettismo storicista), dall’altra gli impulsi per una creatività spontanea e antidogmatica con l’aspirazione a comprendere e a interpretare la realtà in tutti i settori attraverso nuove forme di espressione.
Il mobile Liberty in Italia (1902-1915/25)
La particolare situazione politica italiana, frammentata tra contesti culturalmente ed economicamente molto diversificati, aveva infatti reso più difficile la diffusione generalizzata delle nuove idee. Più avanzate su questa strada risultavano comunque le regioni settentrionali e i grandi poli industriali dove teorici quali Camillo Boito e più ancora Alfredo Melani, Enrico Thovez, Vittorio Pica erano aggiornati su quanto avveniva oltralpe.
Alla loro opera di “apostolato” e all’attività di alcuni artefici isolati si dovevano i primi tentativi di rinnovamento delle arti applicate, tentativi tanto più difficili in quanto la storia decorativa italiana restava ancora una storia regionale, più o meno vincolata ai fasti del rispettivo passato con una predilezione per l’epoca rinascimentale.
Il termine Liberty era comparso dal 1895 quando un articolo sulla rivista “Emporium” aveva fatto conoscere i manufatti della omonima ditta londinese. L’ornamento desunto dalla natura aveva del resto una tradizione che ci si premurava di stabilire del tutto italiana rintracciandone “le radici” fin dalle decorazioni musive di età romana e la “crescita” nella fioritura rinascimentale e barocca.
Quelli che agli occhi italiani sembravano concreti segni di rinnovamento, in realtà costituivano solo timidi accenni soverchiati dal dilagare di opere di gusto tardo-eclettico. Così a Parigi, nella Esposizione Universale del 1900 l’Italia appariva piuttosto come “il Paese dei copisti”, immobilizzato nel mito di un’illustre tradizione, e per questo restio a rinnovare il proprio repertorio. Fu in questo clima che nel 1902 venne organizzata a Torino l’Esposizione Internazionale di Arte Decorativa Moderna.
Si trattava di un avvenimento eccezionale, della prima mostra in assoluto dedicata esclusivamente alle arti applicate, di un’occasione unica per conoscere le migliori realizzazioni straniere e tracciare contemporaneamente un bilancio della produzione nazionale.
In Italia il Liberty o Floreale si diffuse nelle arti applicate e di conseguenza nei repertori decorativi con un certo ritardo rispetto allo sviluppo internazionale dell’Art Nouveau. Ritardo in parte dovuto al persistere della tradizione nazionale fondamentalmente ancora legata agli stilemi rinascimentali e barocchi.
Generalmente si riscontrano notevoli influenze sia dei modelli inglesi che franco-belgi che austriaci, e questo è spiegabile con la grande incisività determinata dall’Esposizione d’Arte Decorativa Moderna di Torino del 1902, nella quale vennero esposti innumerevoli oggetti d’arte applicata. Un tale compendio riassuntivo dell’ Art Nouveau, anche se oramai in fase declinante, non poteva non innescare un rinnovato interesse, tanto che il Floreale italiano si protrasse, con i tardi epigoni, fin sulle soglie del 1925.
Gli artisti: Carlo Bugatti. Eugenio Quarti, Ernesto Basile
Un‘espressione autonoma, anche se si può avanzare l’ipotesi che non si tratti di Art Nouveau in senso stretto, fu quella della produzione di Carlo Bugatti (1856- 1940). Attività che si svolse dal 1880 al 1904, anno in cui egli affidò la continuità della produzione dei suoi mobili alla ditta De Vecchi. Bugatti si espresse con una personale attività progettuale che si tradusse, dal punto di vista formale, in manufatti originali, nei quali si recupera una matrice culturale di tipo folclorico, con vaghe assonanze moresche, espressione tipica del gusto portato verso l’orientalismo visto però in modi del tutto autonomi.
Bizzarria, preziosità e talvolta stravaganza dei materiali (pergamena, metalli sbalzati, frange e nappe), spesso sostenuti da interventi pittorici, testimoniano che la presenza decorativa di un arredo è la principale ragione del suo essere. Tipici sono gli archi moreschi, i dischi a cerchi interrotti, le frange, la libellula stilizzata.
Se Bugatti fu un’eccezione nel panorama del gusto floreale, altri si espressero in modi artistici più inseriti nel contesto Art Nouveau. Anzitutto Eugenio Quarti (1867-1941), attivo fin dal 1898 dopo esperienze parigine, e poi Bugatti. Quest’ultimo, che si propone con linee eleganti ottenute con l’intarsio di fiori e vegetali di netta derivazione Art Nouveau franco-belga, passa poi ad esperienze influenzate da Riemerschmied, e infine, dopo il 1906, abbandona il Floreale per avvicinarsi a esperienze proto-Déco.
Tipica fu la produzione dei fratelli Carlo e Piero Zen, che inserirono il loro Floreale nei numerosi modelli di una produzione già industriale. La produzione industriale si esprime principalmente nell’attività della ditta palermitana di Vittorio Ducrot (1867-1942), soprattutto nel periodo 1898-1910, in grazia del sodalizio con l’architetto Ernesto Basile (1857-1932), il cui Liberty si sviluppa in temi di grande respiro.
I motivi tipici dell’arte nuova, oltre ad eccitare le fantasie decorative, in una sorta di “liberalizzazione” dell’ornamento, trovavano un fertile terreno di innesto nella grande tradizione artigianale italiana che adottava fiori, foglie, putti, figure muliebri, animali, volute, ghirlande, intagli, intarsi, ottoni, vetri e madreperle con indiscussa perizia e virtuosismo.
Nel panorama italiano spiccavano tuttavia alcuni artefici più colti e raffinati. Tra essi si annoverava Eugenio Quarti (1867-1929), mobiliere raffinato formatosi sulla tradizione artigiana illustre, dotato di una grande maestria tecnica e di un considerevole gusto estetico.
Dopo aver iniziato l’attività a Milano con forme e ornamentazioni di esuberante ispirazione moresca, Quarti era giunto ad elaborare uno stile personale. Mobili in noce d’India, palissandro e talvolta in acero tinto, di linee semplificate, si arricchivano così di sottili intarsi di fili d’argento, avorio, smalti e madreperla distribuiti a seguire e a sottolineare il disegno complessivo.
Gli arredi di Quarti rimasero tuttavia pezzi unici, quasi sempre firmati dall’artefice e riconoscibili non solo per la particolare ornamentazione, ma anche per la loro peculiare linearità che si potrebbe definire di gusto viennese, accentuata, a partire dal 1906, dall’introduzione di più spiccate decorazioni geometriche, con intarsi a scacchi e semisfere in alternanze regolari di chiari e scuri.
Particolarmente significativa era inoltre la produzione palermitana del binomio Ernesto Basile (1857-1932), architetto, e di Golia Ducrot (1867- 1942), mobiliere. Passando dagli arredi sontuosi eseguiti su commissione, con mobili riccamente scolpiti, ad arredi più modesti ed anche più innovativi, contrassegnati da un disegno essenziale che li rendeva adatti alla produzione di serie.
Su un piano del tutto diverso si ponevano invece le realizzazioni di Carlo Bugatti (1856-1940), artista con un codice linguistico del tutto autonomo e con una spregiudicata libertà inventiva. L’allegra miscela di tinte con toni sfumati dall’oro al porpora, al vermiglio, al turchino era possibile rivestendo sedie, scrittoi, armadi, letti e canapé (generalmente in noce nelle parti a vista e in abete in quelle nascoste) di un primo strato di carta bianca su cui si stendeva successivamente una “pelle” di pergamena da decorare con diversi disegni.
Ma i suoi mobili presentavano anche placche di rame o di ottone cesellate, fiocchi e cordonature di seta bianca o cotone naturale, tarsie di peltro, ottone, rame, avorio, osso o madreperla e si conformavano in modo del tutto anticonvenzionale seguendo spesso il moto rotante di grossi gusci di lumaca. Una ricerca che, pur non incontrando il gusto del pubblico, veniva apprezzata da buona parte della critica.
Più che a personaggi come Bugatti, per comprendere i modi della diffusione e della fioritura del nuovo stile conviene quindi riferirsi o alla produzione altamente qualificata, ed innestata su una consolidata tradizione decorativa (e quindi priva di caratteri eversivi), come quella del laboratorio artgiano cooperativo dell’ Aemilia Ars di Bologna, o alle ormai cospicue manifatture di mobili: da Carlo Zen di Milano a Vittorio Valabrega di Torino, da Alberto Issel di Genova a Cutler e Girard di Firenze che già annoveravano una produzione su piccola serie.
Per questi ultimi i giudizi dei critici non erano altrettanto favorevoli: la maggior parte delle ditte occhieggiava infatti senza troppi scrupoli ai modelli esteri cogliendone i dettagli più appariscenti, aggiungendo sagomature ondulate, intagli sinuosi e motivi vegetali ad oggetti concepiti tradizionalmente nella composizione e nella struttura, ne risultavano così pezzi alla moda ma privi di contenuto innovativo. Tuttavia fu per loro tramite che il Liberty si propagò in Italia.
Stile Déco
Il termine Déco prende il nome dalla Exposition Internationale des Arts Décoratifs tenutasi a Parigi nel 1925. Anche in questo caso si ripete quanto avvenuto con l’Art Nouveau e l’ Esposizione di Torino del 1902.
Infatti, sia la data del 1902 che quella del 1925 segnano il declinare di questi due stili decorativi. Le prime movenze innovative del Déco si hanno nel 1910, con l’abbandono da parte di Hoffmann del suo intenso stile rettilineo per dedicarsi a forme curve, sintetiche, essenziali.
In Italia sono numerosi gli artisti che interpretano il tema dei festoni di fiori e foglie; pur rimanendo sovente ancorati alla matrice Art Nouveau, la trasformano in un linguaggio espressivo compatto, talvolta con vaghe tendenze alla geometrizzazione. Grande rilievo va posto nell’analisi dei modelli decorativi di Camille Fauré (1874-1956): a partire dal 1924, essi daranno una svolta decisiva alle proposte formali che vedono il progressivo trasformarsi del Déco da figurativo a geometrizzato.
Egli è vicino ai presupposti figurativi del Costruttivismo, ed accoglie, rivisitandole, le lezioni del Cubismo e dell’Astrattismo geometrico. Il contemporaneo Gérard Sandoz, dal 1925 al 1932, accentua l’aspetto rigidamente geometrico basato sul rettangolo, sul quadrato e sul cerchio con tipici effetti di positivo-negativo che influenzeranno molta produzione degli Anni Trenta.
Nel periodo intercorrente fra le due grandi guerre mondiali, si sviluppa parallelamente alla corrente figurativa una tendenza che potremmo definire, ovviamente in maniera alquanto approssimativa, “astratta”. La tendenza alla decorazione astratta, puramente geometrica, aveva avuto insigni promotori. Specialmente gli architetti ne furono i più accesi sostenitori: Auguste Perret, Adolf Loos, Frank Lloyd Wright, Gerrit Thomas Rietveld, Le Corbusier, Marcel Breuer, Ludwig Mies van der Rohe, Walter Gropius.
Di conseguenza si era sviluppata una “non-decorazione” che nel momento in cui si esprimeva in termini puramente geometrici poteva essere intesa come “decorazione astratta”. Il risultato fu che numerosi artisti, specie nei vasti e fertili territori delle arti applicate, adottarono segni grafici intensamente pervasi dalle linee dritte, dalla compenetrazione, dalla semplificazione portata alle estreme conseguenze, vale a dire fino a diventare un segno. Tuttavia in molti casi si riscontra anche una interpretazione in chiave geometrica di elementi figurativi. E’ questo il caso della raffigurazione di volti umani geometrizzati, di architetture semplificate, di elementi della natura quali montagne, nuvole, il sole eccetera.
Nel panorama invero assai ampio delle tendenze decorative del periodo cha va dai primi Anni Venti alla fine degli Anni Trenta occorre prendere in considerazione un fenomeno particolarmente interessante riguardante l’Italia. Lo stile definito, per comodità e con molta approssimazione, Novecento prende il nome da un gruppo, inizialmente di sette artisti (Bucci, Dudreville, Funi, Malerba, Marussig, Oppi, Sironi) che a Milano, nel 1922, fondano il “Novecento italiano”.
Se il movimento tendenzialmente legato alle arti pure e alla grafica ebbe vita breve _ si affievolì infatti attorno al 1930, anche se fu assai seguito, tanto che nel 1928 annoverava nelle sue fila più di cento artisti _ il suo influsso sulle arti applicate continuò nel tempo determinando un contesto decorativo che si basava sul fondamentale aspetto di una rivalutazione del Naturalismo.
I motivi decorativi più diffusi sono i fiori con andamento spezzato, il cactus (che in un certo senso possiamo affermare essere lo stilema più significante di questo periodo), le nuvole, le montagne, gli alberi. Il grande interesse all’aspetto naturalistico, indubbiamente legato all’amore per la vita rurale semplice e genuina non disgiunta da un grande rispetto della tradizione, si manifesta con un particolare tipo di segno.
Si tratta di una semplificazione ove il dettaglio è accuratamente evitato, e nel quale si evidenziano determinate linee-forza che danno principalmente l’idea dell’oggetto rappresentato più che la sua descrizione.
A segni grossi di base rafforzati da un intenso tratteggio si uniscono segni leggeri ed essenziali. La figura umana è spesso legata a figurazioni compatte ove non infrequentemente si può scorgere una certa lettura della classicità. Questo 5657 dei motivi classici lo si ritrova abbastanza frequentemente nelle decorazioni di Giò Ponti (1891-1979), specialmente per quanto afferisce agli intarsi sui mobili e all’ornamentazione delle numerose porcellane prodotte dalla Richard-Ginori di cui era direttore artistico.
Il secondo Dopoguerra
Il periodo dell’immediato secondo Dopoguerra vede l’affermarsi di un nuovo tipo di decorazione-non-decorazione assa difficoltoso da sistematizzare, in quanto le esperienze e le relative manifestazioni formali sembra talvolta vadano addirittura in direzioni opposte. Non v’è dubbio, però, che la linea totalmente curva, tondeggiante, sforata presenti una notevole quantità di esempi. Il tema di base è quello della forma ad uovo con un foro. Da questo tema si irradiano le numerose forme libere, sempre tondeggianti, senza alcun asse di simmetria e abbondantemente forate.
Altro elemento individuante il gusto è dato dal fatto che le superfici non sono mai piatte e privilegiano abbondanti rigonfiamenti. Di notevole interesse sono le forme che ricordano la composizione strutturale di un corpo di animale. Tipiche sono le forme di Carlo Mollino (1905-1973), ove la struttura è portata alle estreme conseguenze formali in quanto egli tende a dare all’oggetto una vita, un movimento, un dinamismo che non sono un semplice riferimento artistico ma anche una complessa ricerca, quasi musicale, di ritmo nel tempo e nello spazio.
I motivi prevalenti degli Anni Cinquanta hanno un certo riferimento sia alle sculture sia alle sculture di Henry Moore sia alla produzione di vetri finlandesi e svedesi nonché agli arredi in legno sagomato di Tapio Wirkkala. Tuttavia non bisogna dimenticare come la diffusione del nuovo materiale, la plastica, abbia influenzato notevolmente il repertorio decorativo. Proprio per le caratteristiche intrinseche delle materie plastiche usate in questi anni, si assiste ad un quasi totale abbandono della ricerca del dettaglio per portarsi su forme semplificate e tondeggianti.
Si riscontra una certa simpatia con le configurazioni a cartocci e a conchiglie, nelle quali la possibilità di esprimersi consente infinite varianti. Sul versante delle immagini riferite al modo vegetale si privilegiano i tronchi d’albero e i rami concepiti con una notevole sommarietà nei dettagli. I tralci di foglie assumono un aspetto assai semplificato, quasi essenziale, senza tuttavia rinunciare alle linee tondeggianti.
Per quanto riguarda la rappresentazione della figura umana, principalmente quella femminile, questa viene trattata in due maniere totalmente diverse: forme tondeggianti, schematiche e spesso intrecciate in molte decorazioni ove la struttura è di materiale plastico; un esasperato calligrafismo con la figura femminile caratterizzata da un collo esilissimo e attorniata da elementi vegetali e architettonici nei quali prevale il concetto di spezzare in due il motivo e trattarlo con effetto negativo-positivo.
In quest’ultimo esempio si ritrova spesso una ripresa della decoratività stilizzata, che rappresenta il netto contrasto con il prevalere delle decorazioni impostate sulle forme libere e tondeggianti. A ulteriore conferma delle direzioni opposte in cui vanno le manifestazioni decorative di questo periodo caratterizzato dalla ricerca di nuovi motivi.
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