Arte e Restauro del Cuoio
Fonte: Artigianato veneto
E ragionevole pensare che gli uomini delle società primitive non sarebbero sopravvissuti alle terribili condizioni ambientali che ogni giorno dovevano affrontare e non si sarebbero evoluti se non avessero imparato, fin dagli albori della civiltà a servirsi delle pelli degli animali.
Il problema che si presentava era quello di fare in modo che la pelle non succedessero i normali processi di degrado cui sono sottoposte tutte le materie organiche: nei climi caldi e secchi una precoce essiccazione con conseguente indurimento e fragilità della pelle; nei climi umidi processi di putrefazione con sviluppo di microrganismi che rendono, comunque inservibile la pelle.
Bella legatura monastica veneta, eseguita su modelli bizantini, XIV secolo | Legatura “alle armi” (stemma cardinalizio) in marocchino rosso con fregi in oro, Veneto XVIII sec. |
L’ uomo imparò ben presto che era necessario raschiare bene la parte interna la pelle per levare i depositi di grasso, i tendini e la carne: con il tempo questi frammenti si sarebbero seccati e induriti. Per eseguire correttamente queste operazioni si usava stendere la pelle fissandola al terreno o ad un intelaiatura verticale e si usavano raschiatoi in selce od ossidiana scheggiata. Era poi necessario farla essiccare lentamente e per periodi stabiliti e trattarla con alcune sostanze in grado di fermare la putrefazione e conferire alla pelle elasticità, resistenza, morbidezza, ecc.
In antico la concia delle pelle è stata eseguita con i metodi più diversi: la pelle veniva immersa nell’acqua e battuta con un mazzolo di legno, oppure masticata accuratamente, metodo utilizzato ancora oggi dagli Esquimesi. Veniva poi immersa nell’olio per proteggerla dall’acqua e impedire che si inzuppasse. Le pelli erano perforate lungo gli orli con una fila di buchi, dove passava una striscia sottile di cuoio, in modo da unire i vari pezzi. L’uomo sperimentò diversi tipi di concia. |
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Giaccone in pelle di capra a due colori, dell’uomo del Similaun |
La concia più comune utilizza tannini vegetali ricavati dalla corteccia di alcuni alberi o dal mallo delle noci, un altro metodo consiste nell’applicare alla pelle grassi animali trattati, nel tenderla su un telaio e nell’affumicarla. Si tratta di un metodo usato fino agli inizi del secolo scorso dai nativi americani.
Questo complesso di regole è quindi diventata una vera e propria norma ed il violarla è considerato In alcune pelli si preferiva lasciare il pelo per usarle come pellicce, adoperandosi perché non cadesse, con il tempo e l’uso, in altre si preferiva radere il pelo e lasciare la pelle liscia e morbida, in altre ancora si preferiva rendere la pelle dura e resistente per essere usata nelle suole delle scarpe o per farne scudi e copricapi per i guerrieri.
Con la pelle si confezionavano vestiti, cinture, calzature, tende e capanne, borse contenitori di vario genere, otri per i liquidi, strumenti musicali, materie scrittorie, ecc. e per questo l’uomo nei secoli ha affinato le tecniche della concia della cucitura, dell’ornamentazione del cuoio.
Nelle culture primitive ed in molte culture africane, ancor oggi, ad ogni oggetto, ad ogni funzione, è legato un tipo di pelle di diverso animale: è l’esperienza che detta queste regole; infatti, dopo aver provato varie possibilità ci si è orientati a scegliere il pellame e adatto per fare strumenti musicali, quello per fare maschere rituali, quello per farne oggetti di culto o per vestimenti, ecc..un atto sacrilego: se nella fabbricazione di un tamburo è previsto l’uso di una determinata pelle, l’usare un pellame diverso può essere condannato dalla società. |
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Berretto in pelle di orso dell’uomo del Similaun |
Nonostante tutte le precauzioni, dopo alcuni anni la pelle, inevitabilmente, si deteriora e sono veramente rarissimi i manufatti in pelle che ci vengono dal passato e anche molti cuoi di due o trecento anni fa sono andati perduti.
Leccezione è data da alcune pelli che si sono conservate grazie a basse temperature: è il caso dell’interessantissimo corredo di Ötzi, la mummia del Similaun, l’uomo vissuto 5300 anni fa in Alto Adige e conservato ora al Museo di Bolzano.
E stato recuperato gran parte del vestiario che era interamente in pelle, dal berretto alle mutande, con la sola eccezione di un mantello-impermeabile in paglia di giunco.
Il berretto era di pelliccia di orso, i gambali in pelle di capra domestica con finiture in pelle di cervo ed erano costituiti da lunghe strisce di pelle cucite tra loro, l’ uso di questi gambali, chiamati legwarmers, era molto diffuso nel nord dell’Europa, come ci testimoniano dipinti del secoli XV e XVI, e come si può vedere negli affreschi di Girolamo da Romano detto il Romanino (1484/87, post’1559) al castello del Buoncosiglio di Trento; anche i nativi americani usavano gambali simili. La cintura di Ötzi era in strisce di pelle di vitello conciata e rasata e presenta un curioso a comodo marsupio, non molto diverso da quello oggi di moda tra i giovani. Le mutande, un particolare perizoma simile a quelli in uso nelle regioni equatoriali è in fine pelle di capra domestica rasata e conciata in modo da conservare la morbidezza. |
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Legatura in pelle della fine del XV secolo, Padova, Biblioteca Capitolare |
Il giaccone era stato confezionato con strisce di pelle di capra non rasata di tre diverse tonalità di colore (chiaro, bruno e nero) che sono state alternate tra di loro cucendole con fili di lana, tendini di animali e fibre vegetali, in modo da conferire all’abito un piacevole effetto estetico. Le scarpe, una specie di mocassino, avevano la suola in cuoio di bue e la tomaia in pelle di cervo.
L’analisi complessiva del vestiario ci fa capire che Ötzi e i suoi contemporanei, nonostante disponessero di pochi attrezzi, possedevano una buona conoscenza delle pelli e sapevano lavorarle con grande maestria artigianale. La concia non era eseguita, come si credeva, con tannino vegetale ma con grassi animali e con il sistema dell’affumicatura, secondo l’uso degli indiani d America, come abbiamo visto sopra. Ötzi, e i suoi non usavano la pelle in grandi pezzature ma la riducevano in strisce per meglio adattare l’abito alla forma del corpo e per conferire all’indumento una qualità estetica tramite l’utilizzo di pelli diverse colorazioni: così è nata la sartoria: così è nato l’artigianato artistico del cuoio. |
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Legatura in marocchino rosso con eleganti fregi in oro, Venezia, fine del XVIII sec. |
Da allora i progressi in questo settore sono stati notevoli, anche se il lavoro artigianale è rimasto sostanzialmente quello: conoscere e capire le diverse pelli, trattarle ciascuna con grande rispetto, interpretarne le qualità, valorizzarne la struttura, trarne oggetti comodi, utili e belli. Cosa facevano di più gli antichi artigiani? Cosa si può chiedere di più ad un artigiano del nostro secolo?
Le tecniche per decorare il cuoio sono costituite dall’uso di bulini, di punzoni, detti in legatoria piccoli ferri, di tarsie colorate. Molto usata e la pirografia, cioè l’uso di punzoni roventi che danno alla pelle una particolare colorazione brunita e lasciano incavature che variano a seconda della pressione esercitata su pellame. Anche la doratura del cuoio è stata molto praticata perché questo metallo, molto duttile, ben si adatta alla morbidezza del pellame.
Il commercio di pelli e pellicce ha condizionato, ed in parte condiziona tuttora, l’economia di molte regioni dell’Europa settentrionale e dell’America settentrionale. E incredibile il flusso di pelli e pellicce che si stabilì, tra la fine del settecento e la fine dell’Ottocento tra l’America settentrionale e il Canada verso l’Europa.