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Conservazione e restauro dei materiali tessili nel ventaglio

Non bisogna dimenticare che i ventagli accompagnavano la vita di donne e uomini in qualsiasi occasione e momento della giornata e per questo hanno subito molteplici maltrattamenti.

Pubblicato il 29 dicembre 2020

Anna Checcoli

Fonte: Relazione della dott.ssa Anna Checcoli in occasione dell’ Incontro culturale “Riflessioni sul tessile

Affrontare la tematica del restauro di tessili e ricami con esperti è una dura prova, in quanto si è obbligati a dare informazioni precise e tecnicamente ineccepibili. Cercherò dunque di sviscerare l’argomento cogliendo gli aspetti  relativi alle varie possibilità nelle quali un restauratore di ventagli può imbattersi. Nell’articolo troverai risposta a queste domande:

  • Materiali dei ventagli: Quali sono i materiali comuni utilizzati nella costruzione dei ventagli?
  • Problemi di deterioramento: Quali sono i principali problemi di deterioramento che possono colpire i ventagli in tessuto?
  • Tecniche di restauro: Quali sono le tecniche consigliate per il restauro dei ventagli in pizzo?
  • Conservazione: Quali sono le migliori pratiche per la conservazione dei ventagli in tessuto?

Introduzione

I ventagli possono essere costituiti di molteplici materiali, dai metalli preziosi alla pelle, alla carta, ed infine anche alla stoffa. In questa sede mi limiterò a trattare quest’ultimo supporto ed i relativi problemi che possono sorgere dal suo deterioramento, anche con esempi. Capiterà anche a voi, esperte di ricamo, di imbattervi in qualche ventaglio bisognoso di cure, e,  anche se sicuramente non avrete alcun bisogno dei miei consigli per quanto riguarda la parte di vostra competenza, l’oggetto in sé richiede attenzioni e procedure diverse, per esempio, da un capo di abbigliamento, a causa della sua struttura.

Innanzi tutto è necessario fare un distinguo fra una pagina completamente in pizzo ed una in stoffa con ricami. Conseguentemente, bisogna porre attenzione al tipo di stoffa.

Quando la pagina è tutta di pizzo ( ci possiamo trovare di fronte ad uno chantilly, o a punti misti, ad ago o a fuselli, a ricami “appoggiati” su base di tulle ) il primo problema che si pone è valutare il tipo di intervento relativo al problema:  è solo sporca ma sana? E’ sporca e presenta anche rotture? E’ comunque solida? O è fragilissima?

Lavaggio e restauro di pizzo e altri tessili

Non bisogna dimenticare che i ventagli accompagnavano la vita di donne e uomini in qualsiasi occasione e momento della giornata.

Hanno subito molteplici maltrattamenti, dal profumo spruzzato direttamente sulla pagina ( ne esistevano anche in vendita appositamente per i ventagli ), a gocce di cera delle candele, caffè, tè, rossetto, umidità e quant’altro.

Un primo consiglio, in caso di desiderio di lavaggio, ( solo se il merletto è assolutamente sano ) è di provare gli effetti di questo trattamento su un tipo di pizzo simile, per valutarne la reazione. Si può decidere di staccare la pagina dalla montatura, per non rischiare di rovinare le stecche e per essere maggiormente agevolati nelle proprie manovre, oltre ad avere, ovviamente, un risultato ottimale e più uniforme. 

Tuttavia consiglio questo metodo solo a persone veramente esperte. Fotografate comunque il ventaglio prima di qualsiasi operazione per ricordare esattamente la situazione originaria. Nei tempi passati il collante usato per eccellenza era la colla di pesce, esattamente di storione. E’ solubile in acqua, per cui con un po’ di acqua calda la pagina si staccherà facilmente dalle stecche. Qui sorgono tuttavia i primi problemi: il materiale e le decorazioni eventuali delle stecche. L’avorio e l’osso non risentiranno estremamente dell’umidità, ma le policromie, se presenti, sì. Il legno ovviamente non deve essere assolutamente bagnato. Quindi, procedere con cotton fioc inumiditi e tanta, tanta pazienza.

Anelli, bracciali, orologi, pendenti: rimuovere, in modo che nulla possa strappare il pizzo quando si lavora su di esso. Indossare un indumento che non abbia “peluria” con maniche semplici, preferibilmente senza bottoni al polso. Lavare le mani per togliere eventuali tracce di creme per la pelle.

Quali detersivi usare

Non usare mai candeggina! Ci sono diverse formulazioni di candeggina che sono state utilizzate nei secoli. Le sostanze chimiche utilizzate in tempi antichi sul vostro ventaglio potrebbero reagire ad una nuova formulazione con risultati disastrosi. In un caso può accadere che il colore si trasformi  in un brutto giallo permanente. In un altro, il pizzo può disintegrarsi.

Se si desidera un effetto sbiancante, si può utilizzare mezza tazza di bicarbonato con mezza tazza di sale in acqua tiepida, mentre per esaltare il colore del pizzo nero si possono utilizzare mezza tazza di acqua con un cucchiaino di borace ed un cucchiaino di alcool.

Un altro metodo ( se avete staccato la pagina dalle stecche )  è inumidire tutto con un pezzo di seta nera immersa in una soluzione di 1 cucchiaino di borace per mezzo litro di acqua tiepida. Stirare il pizzo coprendolo  con il pezzo di stoffa ancora umido.

Vi metto anche  in guardia contro saponi comunemente disponibili che contengono lanolina, profumi, fosfati, coloranti, sbiancanti. Non usare limone per le macchie!!!

Negli Stati Uniti, Orvus  (Procter & Gamble), è il sapone usato dai conservatori museali per il lavaggio dei tessili. Si trova su internet. È un detergente neutro che contiene acqua, sodio lauril solfato, alcol laurilico, e solfato di sodio.

E non è venduto nei supermercati. Lo si trova in alcuni negozi di animali, dove si acquistano farmaci e cereali per gli animali da allevamento. E ‘utilizzato per lavare a mano tessuti pregiati, ma addirittura anche per animali da condurre alle esposizioni, come quelle pecore belle bianche che si possono vedere alle fiere di bestiame. E’ ottimo perché neutralizza eventuali acidi incorporati nei  fili.

Si tratta di acidi che trasformano il colore in marrone. Accade se il pizzo viene conservato in un mobile in legno o in un ambiente di pasta di legno (una scatola di cartone, ad esempio, o avvolto in carta a base di pasta di legno – molte carte veline bianche sono realizzate in pasta di legno), o  in un ambiente fumoso / inquinato.

Una sofferenza tessile da ustione acida può ridurre in polvere un pizzo. Se notiamo su del lino o merletto bianco riposti, del marrone intorno ai bordi, questa è un’ustione da acido. Ricordiamo inoltre di non usare acqua di rubinetto perché è ricca di minerali e quindi di sostanze chimiche. Utilizzare quindi acqua distillata.

In Italia, comunque, c’è chi usa tranquillamente sapone di Marsiglia con ottimi risultati. Se avete c’è necessità di usare un ago per riparare il pizzo prima del lavaggio, ammettendo che siate riuscite a staccare una pagina danneggiata dalla propria montatura senza disintegrarla definitivamente, mai perforare i vecchi fili con l’ago. Si indebolirà il filo di pizzo fino a rompersi. Passate quindi l’ago solo negli spazi, con molta attenzione.

Nella ricostruzione del pizzo della pagina di un ventaglio ovviamente la prima cosa da fare è studiare i modelli di pizzo con attenzione, anche se le aree danneggiate sembrano caotiche. E’ sempre bene non farsi prendere dal panico ed iniziare dalle aree il cui disegno ci appare più chiaro. Quindi mettere il foro piatto su un tavolo  e provare a collegare una prima area in tutto l’ insieme creando un ponte che sia compatibile con il soggetto. Una volta che i buchi più grandi  sono sommariamente richiusi, si può procedere ad un lavoro di approfondimento.

Se il ventaglio ha una pagina semplice, oppure è danneggiata la contropagina posteriore esistente, consiglio di aggiungerne o sostituire la vecchia con tulle, organza o seta dello stesso colore o di colore chiaro in caso di ventagli in Chantilly nero prodotti attorno al 1880, secondo la moda dell’epoca. Ma affronteremo meglio questo argomento in seguito.

Quando si  lavano vecchi merletti delicati, soprattutto quelli piccoli, sarebbe opportuno imbastirli con filo chiaro tra due pezzi di materiale non ruvido, per esempio della rete,  che è morbida ai bordi quando viene tagliata. Inoltre si può vedere attraverso di essa ciò che sta accadendo ed agire rapidamente se qualcosa sta andando storto.

Una grande spugna naturale può essere utilizzata per premere acqua saponata nel merletto. Prima di porre a bagno la pagina ( ma questo vale per qualsiasi capo ) bisognerebbe tracciare la forma su un pezzo di carta velina, in modo da avere un riferimento dopo asciugato: sarà di aiuto nel guidarci per riportare il pizzo alla forma originaria. Le pagine di un ventaglio sono di dimensioni contenute, per cui basta una bacinella.

L’acqua non deve essere troppa, ma sufficiente a coprire, perché anche il peso di essa può essere dannoso. Potrebbe essere necessario lavare, risciacquare, lavare: ogni volta, tenere premuto il pizzo contro il fondo della  bacinella,  lentamente inclinarla e versare l’acqua sporca. Versare la nuova acqua lateralmente, mai direttamente sul pizzo.

Tutta l’acqua deve essere a temperatura ambiente. Se la pagina è stata a suo tempo fortemente inamidata, si possono notare in acqua delle chiazze bianche nebulose. Il vecchio amido era un additivo che spesso ha causato un colore uniforme beige a causa della propria ossidazione. Organismi molto piccoli si nutrono dei microscopici grumi della vecchia fecola di patate usata come amido. Se vedete piccoli fori rotondi , sapete da cosa sono stati provocati..

Una volta rimossa la pagina dall’acqua, modellare delicatamente il pizzo premendo con  il dito. Il calore della mano fa miracoli. Quindi lasciare asciugare.

E’ arrivato il momento di riattaccare la vostra pagina alle stecche, e quindi dovrete fare molta attenzione affinché le dimensioni siano tornate identiche alle originali. Potrete utilizzare colla di pesce, ma anche colle spray che si trovano comunemente in commercio presso i negozi di modellismo. Necessitano di molto tempo per asciugare, per cui non chiudete MAI il ventaglio prima del completo essiccamento!!!! In alternativa, esistono anche colle per tessuti che non traspaiono all’esterno.

Problemi seri si possono avere con pizzo “appliqué”, carrickmacross ( quello del velo e dell’abito nuziale di Kate, per intenderci ) e colorato: nel primo caso la rete di supporto può lacerarsi o disintegrarsi, nel secondo l’eventuale mussola di supporto può ridursi; nell’ultimo, poi, è facilmente intuibile che il colore possa cedere.

Personalmente sono dell’opinione che sia preferibile evitare il lavaggio per quanto possibile, limitandosi a spazzolare gentilmente il tutto con un pennello di martora pulitissimo, e intervenendo sui danni al pizzo direttamente sulla pagina ancora montata, con ago e filo adatti. Riguardo alla seta, molti restauratori spesso non tentano nemmeno il restauro, ma questo è possibile, sempre con molta pazienza.

La Seta

La seta è la più sensibile alle radiazioni elettromagnetiche. Questo fenomeno è dovuto alla foto ossidazione degli acidi amminici situati in parti amorfe del tessuto: si creano regioni “cromatizzate” in rosa, grigio, beige, responsabili della formazione di radicali liberi, che a loro volta ingenerano la degenerazione di altre parti organiche della stoffa.

Essi causano la rottura dei legami PEPTIDICI e creano dei nuovi legami per reazione con i prodotti di degradazione. Questi legami provocano una perdita di elasticità e dunque una maggiore fragilità della fibra. Dal fenomeno dell’ossidazione deriva invece un ingiallimento ed una perdita di resistenza meccanica del tessuto. Anche se l’oggetto è stato riposto con cura in un cassetto o comunque in un luogo privo di luce, tuttavia i primi effetti ossidativi si scatenano nel momento stesso che viene posto alla luce per usarlo. Se l’acqua agisce come un plastificante della fibroina ( proteina prodotta dai ragni per creare le ragnatele e dai bachi da seta ), un’atmosfera secca associata ad una temperatura elevata seccano le fibre della seta.

Il ruolo dell’appretto nel processo di degradazione della seta non è chiaro, tuttavia, anche se veniva effettuato proprio per preservare il tessuto e per conferirgli una certa rigidità, è probabile che a lungo andare le gomme contenute nell’appretto abbiano accelerato fenomeni di fotosensibilizzazione con conseguente ingiallimento e di acidificazione del tessuto attraverso l’idrolisi dello stesso. Ricordarsi il fattore sfregamento, quindi meccanico, di apertura e chiusura. In caso di ventagli dipinti anche parti della pittura possono saltare a causa della depolimerizzazione dei leganti ( rottura dei polimeri ) dovuta a eccessiva secchezza, luce, fattori meccanici.

Restauro pagine tessili in genere

Per il restauro talvolta, in caso di ventagli con meccanismi complessi , bisogna scegliere un intervento stabilendo in quale misura l’equilibrio strutturale e l’apprezzabilità estetica del ventaglio sono legati, e soprattutto  a quale prezzo affrontare uno smontaggio completo piuttosto che non intervenire affatto.

Ovviamente è da preferirsi, se possibile, una scelta che tenga conto del futuro utilizzo dell’oggetto. Nel caso di estrema fragilità ma di desiderio di ripristino di un aspetto estetico che ricordi quanto più possibile l’aspetto originario, può essere utile un consolidamento che però impedisca l’apertura e la chiusura dello stesso. Consolidamento che può essere effettuato incollando una “contropagina” sulla parte posteriore solo se quella originale e le relative pieghe possono tollerare pressioni durante le operazioni, oppure si possono consolidare solo le pieghe.

L’utilizzo di colle o altri adesivi è sempre stato oggetto di grandi discussioni fra restauratori, ma sembra che oggi l’argomento venga affrontato con maggiore serenità. Per “adesivi” ovviamente non intendo skotch, che MAI deve essere utilizzato ( trovato anche su ventagli del 700 che hanno una seta che sembra carta).

Gli adesivi termoplastici sono i più usati negli ateliers di restauro , l’importante è preservare stabilità e reversibilità in caso di modifiche. I principi fondamentali sono assicurare la possibilità di manipolazione, la coesione della contropagina per poter facilitare la “lettura” dell’oggetto, e la possibilità di essere esposto, la compatibilità fisico-chimica dell’adesivo con il materiale da restaurare.

Bisogna quindi prendere in considerazione l’eventuale capacità del collante di deformarsi o di ritirarsi, inoltre lo spessore del collante, e l’invisibilità. Evitare collanti acquosi che possano macchiare i tessili, in primis la seta.

I collanti

Un articolo del 1997 di Hyllier, Thinker e Singer divide i collanti in quattro categorie:

termoplastici: Mowilith, Lascaux, Beva, ecc…; i derivati cellulosici: Klucel G, carboximetile cellulosa, metilcellulosa; gli amidi; le gelatine animali ( colla di pesce ).

Le emulsioni di Lascaux 360 HV e di Lascaux 498 HV combinate e mescolate con una percentuale di acqua demineralizzata hanno un’ottima resa in elasticità, rimanendo tuttavia leggermente collose a temperatura ambiente. Il principio attivo è lo stesso delle colle spray reperibili in negozi di modellismo. Il Klugel G è invece una idrocellulosa che ha il vantaggio di essere solubile in acqua, acetone ed etanolo, a differenza delle altre idrocellulose e colle animali o amidi.

La Klugel è stata ritenuta una colla di stabilità intermedia, valutata fra i 20 ed i 100 anni, con una lieve tendenza ad ingiallire. Anche questa va comunque utilizzata con una piccola percentuale di acqua demineralizzata.  Le stoffe ed i materiali da usare preferibilmente come rinforzo sia totale che parziale sono l’organza, il tessuto non tessuto, il Tetrex ( un misto di rayon e di poliestere ) la seta pongé.

Il lavaggio

Si consiglia sempre di lavarle prima al fine di togliere sostanze chimiche applicate per la finitura industriale. Risultati ottimali sono stati ottenuti dall’abbinamento organza/Lascaux o Klugel, pongé/Lascaux o Klugel, buoni con Tetrex/ Lascaux. In caso di pieghe del ventaglio bisogna piegare prima il materiale da controcollare, il quale dovrà essere separato da una membrana di goretex o melimex che fungerà da riattivatore del collante. Il tessuto utilizzato per il restauro potrà anche essere posizionato, se estremamente trasparente, in caso di pieghe divise, tipo “sandwich”. 

La colla di storione dà buoni risultati sul velluto. Come metodi di applicazione della colla può essere utile un nebulizzatore, meglio se ad ultrasuoni. In altri casi ( parti nascoste) un cotton fioc od un micropennello. Un piccolo pennello in martora è da utilizzare anche per togliere polveri o altro dalle pieghe della stoffa.

Attualmente sono stati fatti tentativi anche con tessuti in microfibra costruiti con filati ottenuti da fibre di poliestere che sono per metà di seta. Questa caratteristica produce un tessuto con qualità simili sia a seta che a cotone. E’ noto l’esempio di un ventaglio del  XIX° secolo con pagina in seta e inserti di carta. La seta si era strappata e consumata a causa dell’uso. Poiché il cliente desiderava utilizzare il ventaglio, si è deciso di consolidarne il retro, per dare la forza necessaria e per preservare la qualità estetica. Il tessuto in microfibra ha dimostrato di essere una  scelta possibile grazie alla sua elasticità, che ne ha consentito, appunto, l’utilizzo secondo il desiderio del cliente.

(Autore: Harris, LaTasha D.; Mathisen, Susan Anne Titolo Articolo / Capitolo: “La conservazione di un ventaglio utilizzando tessuti in microfibra”).

Conservazione

Concludendo, un breve cenno sulla conservazione dei ventagli, in particolare di pizzo o stoffa ricamata: avvolgerli in mussola non candeggiata, o carta velina priva di acido. Poi riporli in una scatola con gel di silice al di fuori della carta velina ( quelle bustine che si trovano nelle confezioni per apparecchiature elettroniche, nelle scatole da scarpe o talvolta nei tappi delle confezioni di farmaci). Ogni tanto date loro aria, agitateli con delicatezza, affinché le pieghe di distendano e riprendano vita.

Note storiche

Punto Reticello XV / XVI secolo

 Il Reticello è considerato l’antenato del merletto ad ago, il punto di passaggio tra ricamo e merletto, perché per la sua esecuzione è ancora necessario un supporto.

Per ricamare uno sfilato (es. orlo a giorno) bisogna togliere dalla tela di fondo, alcuni fili. Se ci sono incroci si creano veri e propri buchi che generalmente vengono rinforzati e ricoperti con il punto occhiello o asola. Fu il desiderio di sempre maggior trasparenza a spingere le ricamatrici veneziane ad eliminare un numero sempre crescente di fili dalla tela per ottenere dei vuoti, fino a che sembrò assurdo utilizzare un supporto di stoffa per ricavarne un esile scheletro di fili, con un’inutile perdita di tempo. Pertanto, il rovesciamento del problema, ovvero partire direttamente dalla costruzione del nuovo, portò le ricamatrici veneziane, nella seconda metà del XV secolo, all’ideazione del merletto vero e proprio. Il passaggio dal reticello al merletto ad ago, il punto in aria fu veloce e del tutto naturale, tanto che spesso le due tecniche coesistono nella realizzazione dello stesso manufatto.

Il Punto Burano

Il Punto Burano nacque all’interno di una scuola inaugurata ufficialmente il 14 Marzo 1872 sotto il nome di “Scuola merletti in Punto in Aria”, originatasi con lo scopo di risollevare le sorti delle popolazioni di pescatori delle isole veneziane, trovatesi nel duro inverno 1871-72 praticamente in miseria per il congelamento della laguna.

Non potendosi praticare nessun’altra attività, si pensò di ripristinare l’antica arte femminile del merletto. Inizialmente la scuola trovò l’appoggio della contessa Andriana Zon Marcello, poi presso altre nobili dame, sempre sotto l’alta protezione della regina Margherita ed ebbe un forte impulso organizzativo con Michelangelo Jesurum, attraverso lo studio, l’analisi, il restauro e la riproposta dei grandi merletti del passato, tra cui quello di Alençon del XVIII secolo e del Gros Point veneziano del XVII.

Caratteristica del punto Burano è la rete del fondo realizzata a maglie rettangolari, disposte a “scalette” verticali. Dalla scuola uscirono ventagli per la regina Guglielmina d’Olanda, il velo da sposa per la principessa Elena di Montenegro e per Edda Mussolini Ciano; culle e port-enfants per i principini di Casa Savoia e la biancheria da casa per Evita Peron.

Esecuzione ad Ago

Tra le varie tecniche di merletto, quella ad ago è senza dubbio l’invenzione più straordinaria e di pregio. Intorno al 1450, a Venezia, non si realizzava ancora il merletto vero e proprio, ma si trattava di ricamo su sfilature della tela: da una tela di base si sfilavano un certo numero di fili di trama, mentre i restanti fili di trama e ordito erano ricoperti a punto occhiello. Una sorta di ricamo a giorno.

Verso l’inizio del XVI secolo, il desiderio di ottenere maggiore trasparenza, spinse le ricamatrici a produrre sempre maggiori sfilature della tela, finché non si giunse alla fortunata intuizione. Perché perdere tempo a disfare un lavoro già fatto e non partire direttamente ex-novo, eseguendo il reticolato di fili necessario al lavoro? In questo modo, non c’era più bisogno di una base di supporto su cui ricamare sopra: sia la rete di fondo che gli elementi decorativi si realizzavano contemporaneamente al progredire della lavorazione. Era nato il merletto ad ago. Il Punto in Aria fu proprio il risultato della rinnovata esigenza di creare un manufatto dal nulla, solo con ago e filo, come una preziosissima ragnatela.

Esecuzione a Fuselli

Mentre i merletti ad ago prendono il nome dalla tecnica impiegata (reticello, punto in aria), quelli a fuselli, lo derivano dal paese di produzione: Genova, Milano, Fiandre. Gli utensili necessari per la loro realizzazione sono i fuselli – specie di piccoli fusi sui quali era avvolto il filo – e il tombolo, sorta di cuscino imbottito generalmente di forma cilindrica.

Non si conosce con esattezza l’epoca cui far risalire l’arte di lavorare questi merletti, di cui Italia e Fiandre si contendono l’invenzione, ma da alcuni documenti, si apprende che entrambe le tecniche, sia ago che fuselli, si siano sviluppate quasi di pari passo, sul finire del XV secolo. Il lavoro a fuselli può essere condotto secondo due modi diversi: a fili continui, che fa uso di un numero fisso di fuselli, pertanto non consente di realizzare pizzi di grandi dimensioni; e a pezzi riportati, che permette di aumentare o diminuire il numero dei fuselli durante il lavoro e di assemblare poi diversi pezzi eseguiti separatamente, collegati in modo invisibile. Genova e Venezia ne ebbero il primato per lungo tempo. Nella prima metà del Seicento, le Fiandre divennero le più prospere d’Europa, potendo vantare l’abbondanza della materia prima, il lino, imbiancato e filato in modo impareggiabile.

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