Diagnostica: Fluorescenza UV
Fonte: testi liberamente tratti da “Tecniche fotografiche per la documentazione delle opere d arte” di Manfredi Faldi, Claudio Paolini ( Manfredi Faldi: Restauratore di dipinti ed esperto di diagnostica artistica, laureato in Storia dell’Arte all’Università di Firenze). “Il Restauro dei dipinti e sculture lignee” Giuseppina Perusini di del Bianco Editore
Si chiamano così quelle radiazioni elettromagnetiche che hanno lunghezza d’onda compresa all’incirca fra i 100 ed i 400 millimicron . Come accade anche per le radiazioni visibili, un oggetto colpito dai raggi ultravioletti può rifletterli o assorbirli in maniera differenziata a seconda dei materiali di cui è composta la sua superficie; questa infatti può emettere dei raggi U.V. «riflessi» che non sono percepibili dall’occhio umano ma possono venir registrati fotograficamente (con una pellicola in bianco e nero munita di un filtro che, bloccando le radiazioni visibili, faccia passare solo i raggi U.V. riflessi). I raggi U.V. possono anche eccitare i materiali colpiti provocando un fenomeno detto «fluorescenza ultravioletta» che è sia percepibile al’occhio umano sia registrabile fotograficamente (con una pellicola a, colori e un filtro che blocchi i raggi U.V. riflessi e faccia passare le radiazioni visibili).
La fonte usata per emettere i raggi U.V. è la cosiddetta «lampada di Wood» che prende il nome dal fisico americano che nel 1913 riuscì a costruire una lampada (a vapori di mercurio) che emettesse solo radiazioni ultraviolette.
Con i raggi U.V. si possono evidenziare scritte offuscate (con l’ultravioletto riflesso) o successivi ritocchi e ridipinture che appaiono come macchie più scure e più opache rispetto alla policromia originale (con la fluorescenza). Le vernici originali appaiono generalmente come uno strato lattiginoso semitrasparente ma, poiché vi sono alcune vernici la cui fluorescenza impedisce l’esame degli strati sottostanti, i dipinti vengono spesso sverniciati prima dell’esame coni raggi U.V. Queste radiazioni vengono impiegate anche per la spettrofotometria all’ultravioletto che, basandosi sulla specifica e nota reattività di ogni elemento ai raggi U.V., permette di stabilire quali sono gli elementi presenti in un microcampione (solubilizzato) prelevato da un’opera d’arte (si veda il paragrafo sulle «indagini invasive»).
Tra i metodi di esame dei dipinti la fluorescenza all’ultravioletto (uv) è sicuramente uno dei più apprezzati e diffusi. Questa tecnica è utilizzata principalmente nella fase di accertamento dello stato di degrado dell’opera e, più in particolare, nella verifica dell’esistenza e dell’estensione delle parti non originali del tessuto pittorico. Non sempre è infatti facile stabilire quanto di ciò che è visibile sulla superficie di un dipinto sia originale e quanto invece sia stato aggiunto in seguito.
Proiettando un fascio di raggi uv sulla superficie di un dipinto potremo osservare come alcune parti di esso si illuminino mentre altre rimangano scure. Questo è dovuto al fenomeno fisico della fluorescenza ultravioletta nel campo del visibile, cioè alla proprietà che hanno alcune sostanze di illuminarsi quando vengono colpite dai raggi uv. In pratica i raggi uv (a noi invisibili) vengono assorbiti e riemessi come raggi visibili. Le differenti luminosità (fluorescenza) osservabili su un dipinto ‘illuminato’ da una lampada uv sono in funzione non solo della composizione chimica delle varie sostanze che costituiscono la vernice protettiva e gli strati pittorici ma variano anche in base al tempo che è trascorso da quando questi materiali sono stati applicati. Ecco perché con questo esame è spesso facile differenziare le ridipinture dalla pittura originale: i materiali sovrapposti, essendo meno antichi, risultano infatti più scuri. Infatti, con l’invecchiamento si formano fra leganti e pigmenti delle reazioni chimiche che rendono questi composti più fluorescenti, mentre le reintegrazioni pittoriche più recenti dove queste reazioni non hanno potuto aver luogo appaiono come macchie opache (meno fluorescenti).
Possono comunque insorgere delle difficoltà nel riconoscere i restauri in fluorescenza uv non solo nei casi in cui questi sono stati eseguiti a breve distanza di tempo dall’esecuzione dell’originale ma anche per la forte fluorescenza che spesso mostrano le vernici sovrapposte al colore: maggiore è la fluorescenza di queste e minore sarà la fluorescenza dello strato pittorico sottostante. Inoltre le lacune delle vernici antiche, quando sono in corrispondenza di zone di pittura scura e perciò non fluorescenti benché originali, possono apparire sotto forma di macchie molto scure spesso difficili da distinguere da una ridipintura. Risulterà quindi chiara la necessità di affiancare a questo esame anche altre tecniche che condurranno alla conferma o alla correzione di queste prime osservazioni.
Caso evidente della necessità di un confronto tra più esami è quando, nelle fasi di pulitura di un dipinto, ci si trova davanti al problema della rimozione di precedenti restauri. Se attraverso gli esami effettuati sappiamo quanto è stato aggiunto sulla superficie di un dipinto ancora non possiamo stabilire quanto al di sotto dei restauri è conservato di originale. In passato il restauro non aveva infatti altro scopo che quello di risarcire i danni e vaste aree di pittura venivano coperte da nuovi strati di colore solo perché vicine a mancanze da completare.
La rimozione delle ridipinture può ovviamente essere giustificata solo se l’aggiunta deturpa, snatura, offusca o sottrae in parte alla vista l’opera d’arte, come nel caso di un restauro eseguito debordando oltre la effettiva estensione delle mancanze. Il confronto che proponiamo a titolo d’esempio tra i risultati ottenuti in fluorescenza uv e con la tecnica della luce trasmessa può risultare essenziale per stabilire se l’aggiunta copre parte dell’originale o se, al di sotto di questa, vi è una mancanza di uguali dimensioni.
Per l’accertamento di vari strati di vernice la fluorescenza UV risulta una delle tecniche di indagine più importanti. Vernici a base di resine naturali, colle, olii, o altre sostanze di origine organica come la chiara d’uovo (spesso stesa a protezione di dipinti su tavola), verranno messe in evidenza permettendoci di verificare, oltre alla loro presenza, anche il loro sovrapporsi e la loro maggiore o minore omogeneità.
La mancanza di omogeneità può essere dovuta ad una stesura irregolare ma anche ad interventi di rimozione differenziata.
Durante le operazioni di pulitura di un dipinto l’aiuto offerto da ripetuti controlli sotto la lampada di Wood darà modo di verificare il lavoro svolto, potrà essere controllato il grado di omogeneità dell’assottigliamento di una vernice, la presenza di un secondo strato al di sotto di questa, così come potranno essere evidenziate macchie di colla o altri materiali, residuo di precedenti interventi.
La fluorescenza delle vernici, anche se in certi casi può impedire la visione degli strati sottostanti, non deve, perciò, essere considerata una limitazione all’esame ma parte dell’esame stesso.
Per stabilire l’antichità di una pittura la fluorescenza UV non può essere considerata di per sé come esame conclusivo poiché esistono molti materiali che sviluppano una forte fluorescenza ancor prima del completo essiccamento. Vi sono inoltre dei procedimenti capaci di accelerare i processi di degradazione della pittura che, in poco tempo, rendono gli strati pittorici ingialliti e fluorescenti.
Un dipinto antico che non mostra fluorescenza alla lampada di Wood dovrà, comunque, metterci in sospetto e sarà necessario verificare attentamente se ciò non sia dovuto a stratificazioni di sporco, a pigmenti o altri materiali colorati che, inglobati o mescolati nella vernice, impediscono la penetrazione delle radiazioni ultraviolette. In questo caso assottigliando lo strato di vernice si potrà giudicare la fluorescenza della pittura sottostante.
Anche le firme e le date dovranno essere osservate con attenzione in fluorescenza uv poiché ogni alterazione, modifica o aggiunta può essere resa ben evidente.