Benvenuto nel Forum
Accedi o Registrati per poter inserire domande o rispondere agli amici della Comunity.
Per qualsiasi problema scrivi a: inforestauro@virgilio.it
lavoro in un laboratorio di doratura e restauro e sto preparando la tesi di laurea su questo argomento. trovo difficile coniugare un approccio empirico e di "bottega" (alla forni)con quello scientifico promosso dall`icr e dall`opificio. in particolare il risanamento delle lacune, che per motivi di "mercato" generalm. viene ripreso ad imitazione, si scontra con la teoria brandiana della visibilità dell`intervento la quale propone interventi quali il cosidetto "rigatino" di baldini. sicuramente questo tipo di operazione soddisfa i canoni di un restauro critico che rispetti la storicità e l`esteticità del manufatto (e che comunque personalm. condivido e tento di applicare) ma è impossibile proporla come "risoluzione" ad antiquari e commercianti... scusate se mi sono dilungata ma vorrei una vs opinione a riguardo. saluti
L`argomento è veramente stimolante. in tema di risarcimento delle lacune e di restauro in genere credo che gli ultimi scritti di conti debbano creare argomento di riflessione. le istanze che sono alla base della teoria del brandi, non sono forse un po` datate? o non si è esasperato il concetto del brandi alla ricerca di una visibilità che finisce con il disturbare il godimento dell`opera? soprattutto con l`estrema diffusione dei moderni mezzi di analisi è ancora attuale un restauro che denunzia la lacuna più che risarcirla? non è sufficiente il rispetto assoluto del criterio di totale reversibilità dell`integrazione? partendo dal presupposto che ciò che è andato distrutto non è più ricostruibile è proprio necessario turbare il godimento dell`opera proclamando la distruzione o è possibile un onesto restauro imitativo, assolutamente reversibile che non aggiunga nulla di non eliminabile ma consenta di godere pienamente l`effetto un tempo voluto dall`autore. personalmente non credo al rigatino e preferisco la selezione cromatica. ma sarei anche propenso ad accettare restauri onestamente imitativi, purché assolutamente reversibili, alle seguenti condizioni: a)reversibilità totale: b) assenza di qualsiasi invenzione quindi possibilità sicura di individuare ciò che è andato distrutto e che si vuole imitare; c)assenza di qualsiasi intento fraudolento; d) possibilità di individuare il restauro a distanza ravvicinata anche se ad occhio esperto o con lampada di wood. mi pare che la lamentela di conti circa l`eccesso di cirticità di alcuni restauri ed il turbamento nel fruitore di restauri esasperatamente "brandiani" non sia priva di fondamento e che attualmente ci sia una via di compromesso tra esigenze di mercato e rispetto dell`opera, almeno escludendo dal discorso i capolavori assoluti ove anche la distruzione o il danno parziale diventa storia degna di essere evidenziata e finisce con il non turbare il godimento dell`opera (si pensi al dito rotto della pietà: benché negativo è un evento che ormai appartiene alla storia dell`opera comunque godibile anche attraverso la memoria di un folle intervento distruttivo. fatemi sapere cosa ne pensate.
L'argomentazione/riflessione suscita in me compiacenza e sgomento al tempo stesso. Compiacenza verificando ancora attiva la ricerca di un codice deontologico e sgomento nel constatare l'attualità di un argomento che "attuale" era anche diciannove anni fa, quando iniziai la professione, e, come è palesemente chiaro a tutti, risulta ancora incredibilmente privo di UNA risposta di regolamentazione severa (dato che parliamo di opere d'arte) ed invece ricco di TANTE risposte intellettuali di "santoni predicatori" che nel tempo non hanno fatto altro che il male del restauro in genere a tal punto da suscitare contrasti di comportamento etico.
Ritengo per linea guida che il restauro,o meglio la conservazione debba esclusivamente limitarsi a creare condizioni (attive e passive) di salvaguardia e tutela per l'opera, qualsiasi essa sia e qualsiasi sia la propria destinazione d'uso, ai fini di condurla il più integra possibile nel tempo.( Per quale perverso motivo si devono ricostruire zone lacunose di un'opera, se non per scopi funzionali e contingenti, al fine di apportare godimento visivo a coloro i quali l'osserveranno o per testimoniare lo stato originale di fatturazione?) Purtroppo però il " morbo dell'estetica " ha da tempo invaso anche il campo del restauro cosolidando uno status di valore aggiunto, aihnoi sempre più diffuso e che oggi il professionista restauratore, forse e nostro malgrado, non si può permettere di ignorare.
Invito comunque tutti, neofiti e professionisti, in un settore malinconicamente di " libero arbitrio " ad individuare e fare propri concetti di RESTAURO EQUILIBRATO nell'assoluto ed esclusivo rispetto dell'opera.
http://www.studiodellegno.com
Molto interessante la discussione ed in linea teorica e di principio si potrebbe stare a discutere per lungo tempo su quale siano i metodi più appropriati perchè vengano rispettate le istanze storiche ed estetiche di un'opera pittorica, e quale delle due debba prevalere sull'altra, e non solo a livello della reintegrazione, che è sempre e comunque un'operazione reversibile, quanto a livello della pulitura, che rimane sempre l'unica operazione irreversibile e che può cancellare inesorabilmente il passaggio del tempo sull'opera. Parlando però in termini pratici,per quello che riguarda lacune e reintegrazione,io credo che le teorie di brandi siano attualissime oltre che eticamente corrette, e che dovrebbero essere applicate sempre nel settore pubblico(livello delle lacune o rigatino, selezione, astrazione ecc. a seconda del tipo di restauro, dell'opera, della resa finale e di mille altri fattori, valutabili solo di volta in volta), però per quello che posso dire attraverso la mia esperienza, nel privato è tutto un altro paio di maniche. In fondo ciò che vuole la persona che porta il suo dipinto al restauro, anche se antico, e magari di ottima fattura, è che il restauro si veda il meno possibile, o meglio, che non si veda affatto ed è difficile spiergargli il perchè ed il percome sarebbe meglio che la reintegrazione fosse visibile. Quello che secondo me è fondamentale è il concetto di reversibilità, anche perchè le reintegrazioni, per quanto ben fatte sono sempre visibil all'occhio di un esperto, quando non ad occhio nudo (ma di solito si) sicuramente alla lampada di wood. Se poi ci sono gravi o vaste mancanze di colore il discorso è diverso...
In punta di piedi e con un pò di timore mi inserisco in questa interessante discussione per proporre la mia riflessione con lo scopo di capire meglio, conscio della mia inadeguatezza nel trattare tali argomenti.
Mi chiedevo prima di ogni cosa se la discussione in corso possa essere esclusivamente riconducibile al restauro delle opere d'arte o estendibile ad ogni oggetto bisognoso di restauro.
Ovvero fino a che punto nel restauro quotidiano di oggetti antichi, ma non classificabili come opera d'arte, sia opportuno applicare integralmente i concetti cosi rigidi espressi soprattutto da Francesco?
Quando la parte mancante da reintegrare fosse ad esempio la parte di una cornice,che potrebbe essere reintegrata facilmente usando come campione quella ancora presente quindi senza nulla inventare,anche in questo caso l'intervento è da considerarsi non idoneo??
Esagerando: se non fosse presente alcuna rimanenza della cornice e si facesse una ricerca su mobili coevi e simili per individuarne una da ricostruire, anche in questo caso sarebbe un intervento da eviatre??
Nel restauro di oggetti che dovranno essere nuovamente utilizzati nelle nostre case, reintegrazioni a scopo estetico (come il caso della cornice) o funzionale ( ad esempio un piede mancante in un comò) come dovranno essere trattati??
Sinceramente faccio fatica a pensare ad un restauro (ripeto non di opere da esporre in un museo ma di riutilizzo quotidiano) che non tenga conto di questi interventi quando siano rispettate almeno queste minime condizioni:
- reversibilità totale
- assenza di qualsiasi invenzione quindi possibilità sicura di individuare ciò che è andato distrutto e che si vuole reintegrare
- assenza di qualsiasi intento fraudolento
- possibilità di individuare il restauro a distanza ravvicinata anche se ad occhio esperto
Sono convinto invece della differenza che c'è tra effettuare reintegrazioni e effettuare aggiunte arbitrarie che porterebbero a snaturare il mobile trasformandolo al punto di cadere nella falsificazione. Di certo questi interventi sono da evitare.
A proposito di questo appassionante argomento vi voglio segnalare un articolo inserito nel sito estratto da "La questione del ritocco nel Restauro Pittorico edito" da il Prato. ( http://web.tiscali.it/restauroantico/ritocco_pittorico.htm )
Saluti, Giuseppe