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La marca della vernice non ha nessuna importanza, devi prestare attenzione solo alla caratteristiche della stessa che ricaverai dalla SCHEDA TECNICA ( normalmente la si trova sul sito internet della casa produttrice ) :
1) La vernice deve essere del tipo trasparente olio-resinosa che si diluisce con solvente tipo acqua ragia od essenza trementina;
2) La resina deve essere del tipo alchidica o fenolica ( normalmente le vernici tipo flatting da esterno o spar ( marino ) hanno queste resine ) ;
3) Se è previsto l’impiego di filtri protettivi U.V. tanto meglio;
4) Un dato importante della scheda tecnica è la voce “volume solido” che si deve attestare almeno intorno al 48%-50% : il volume solido è rappresentato da tutto ciò che non evapora (olio siccativo, resina, pigmenti ( se la vernice è colorata ) ) . Se una vernice ha un contenuto solido del 50% vuol dire che per il residuo 50% è fatta di solvente. Pertanto, siccome non tutto il prodotto acquistato si trasforma in pellicola solida, ma solo quello che rimane dopo l’evaporazione del solvente, due prodotti di diverso residuo solido possono avere una resa diversa, e risultare di diversa convenienza e valore, anche se acquistati allo stesso prezzo. Quale sia poi la percentuale esatta dell’olio e della resina che vanno a costituire quel 50% di volume solido della vernice non lo sapremo mai : questo è un segreto del costruttore che non risulterà mai dalla scheda tecnica.
Un volume solido del 50% della vernice è importante considerato che nell’impiego specifico e concreto che della detta vernice poi andremo a fare ( wiping varnish : 1 parte di vernice + 1 parte di solvente od oil-varnish blend, all’incirca, 1 parte vernice + 1 parte d’olio + 1 parte solvente ) , il volume solido complessivo non sarà più ovviamente del 50% ma si ridurrà drasticamente.
OK tutto chiaro; un ultimo aspetto che ritengo importante e di cui ne hai iniziato a parlarne nel post del 18 febbraio è quello del preservante. Hai fatto il nome del pentaclorofenolo e dell'acido borico. Ne hai utilizzato uno di questi nel preparare le tue vernici? Volendo utilizzare l'acido borico pensi che possa essere aggiunto direttamente alla vernice oppure ritieni che si deve trattare prima con la soluzione acquosa di acido borico e poi passare la vernice?
Il pentaclorofenolo è pericoloso per la salute per cui non credo che sia più reperibile in commercio,quanto meno per il normale consumatore.
Il trattamento con acido borico ( che al momento non ho avuto modo di provare per mancanza di tempo ) ritengo vada fatto dopo la messa a nudo del legno e prima della finitura : su legno a nudo impregnare a pennello una soluzione di acqua ed acido borico al 10%-15%,lasciare asciugare per circa tre - qattro giorni,strofinare ( per eliminarli ) con uno straccio asciutto eventuali cristalli secchi di acido riaffiorati in superficie, sigillare dentro al legno l'acido borico con la prima mano di olioresina ( od olio ) molto diluita con solvente.
Personalmente non mischierei l'acido borico nella finitura ( anche se ho letto che qualcuno lo ha fatto in minima percentuale ) : nell'acqua si scioglie meglio e può essere applicato in maggiore misura.
A precisazione della tua precedente domanda :
Le vernici a base di resina alchidica possono essere corte d'olio ( in cui la percentuale d'olio rispetto alla resina si attesta tra il 45 ed 55%) e lunghe d'olio ( in cui la percentuale dell'olio sale dal 55 al 70% ). Le vernici di tipo spar sono normalmente lughe d'olio ed a volte hanno una piccola aggiunta di olio di tung. La percentuale esatta di olio e di resina non risulterà dalla scheda tecnica. Dalla scheda tecnica risulterà solo "il volume solido " che, come detto, è il rapporto tra il solvente e tutto ciò che non evapora ( olio e resina in primis ).
Nella wiping varnish, in cui si aggiunge solo solvente,l'originario rapporto olio-resina del fabbricante resterà immutato ,cambierà invece "il volume solido " per cui la mano sarà molto più leggera.
Nelle O.V.B. ,in cui oltre al solvente aggiungiamo un olio siccativo, cambierà sia il rapporto olio-resina ( per cui la vernice diverrà a lunghissimo olio, un'olioresina per l'appunto ) sia ( quanto meno nelle prime mani, in cui si mette più solvente ) " il volume solido ".
p.s. : non ho la presunzione di mettermi al livello di un fabbricante di vernici,sono solo un umile hobbista a cui piace fare buone letture e provare. Saluti.
Un umile hobbista che ha capito cosa sono le vernici e come funzionano!
Spiegazione utile ed obbiettiva, per chi deve lavorare su infissi esterni torna utile, stavo anch'io leggendo sono un po indaffarata non ho molto tempo, però interessante 🙂
Attenzione al Re che si sente defraudato dello scettro 🙂
Ciao appena posso posterò quello che avevo promesso...
Tanto per cambiare, cara C., hai perso un’occasione per tacere e non esporre la volgarità del tuo animo.
Sono felicissimo che qualcuno condivida le mie idee; alla lunga viaggiare controcorrente stanca!
Sto piuttosto rimuginando il fatto che degli enti statali statunitensi siano arrivati a tali conclusioni alternative a quelle dell’industria europea. Il concetto è assai complesso perché lo si può affrontare da vari punti di vista e non sono ancora riuscito a sintetizzarlo. Dalla metà dell’800 l’industria ha spinto il concetto di vernice filmante, tanto che gli artigiani hanno dimenticato il sistema dell’impregnazione che è stato dominante nel passato. Ora, che negli USA un ente statale lo riscopra come miglior sistema verniciante mi spinge a ridare fiducia all’essere umano; la stessa fiducia che le varie C.(e sono tante) mi spingono a non averla.
Il metodo illustrato da BLO è quello seguito per secoli dagli artigiani per verniciare il legno, con l’unica differenza data dal fatto che viene applicata a legni moderni, quindi viene prevista la tolleranza di una maggior quantità di olio.
Pierpaolo, il problema che poni, effettivamente è articolato.
Cercherò di fare qualche breve considerazione, rimanendo nell’ambito delle finiture esterne, pur nella consapevolezza che l’eccessiva sintesi rischia di scivolare nella superficialità.
All’inizio c’era solo l’olio di lino col ben noto dispendio in termini di lavoro e di tempo per la sua applicazione e manutenzione. Questo non rappresentava un grande problema in quanto spesso la semplice manutenzione con olio degli infissi rientrava nelle normali incombenze della stessa famiglia, che si prendeva cura personalmente di tutti i compiti necessari a tenere in ordine ed efficienza l’abitazione.
Certo vi erano anche le resine naturali, ma vernici ed olioresine erano prerogativa esclusiva di artigiani ( falegnami e liutai ).
Nel 1800 è iniziato lo sviluppo industriale. E' noto che i primi polimeri sintetici, usati come leganti in miscela con l’olio di lino, sono stati agli inizi del 1900 le resine fenoliche . Intorno al 1919 la nascita delle vernici nitro, per smaltire la gran quantità di nitroglicerina e nitrocellulosa avanzata dalla guerra e per venire incontro alle esigenze della produzione industriale, grazie alla loro velocità d’essicazione ed all’invenzione della pistola a spruzzo. A seguire nel corso degli anni la scoperta delle vernici alchidiche, poliuretaniche, acriliche ecc.
Il lavoro nelle fabbriche, la tendenza in genere del lavoro a diventare sempre più specialistico ,la minore disponibilità di tempo ed il maggior benessere hanno fatto si che tante tradizioni, abitudini ed incombenze che nella famiglia erano prima consuetudine, venissero col tempo abbandonate e dimenticate.
Non solo degli interventi di falegnameria di una certa importanza, ma anche della normale manutenzione della finitura degli infissi adesso si occupa esclusivamente l’artigiano il quale a sua volta si è dovuto adeguare ai tempi, prendendo dimestichezza con l’uso di vernici e pitture sintetiche.
La finitura ad olio con la sua manutenzione eccessiva cade completamente in disuso e le tendenze di mercato si dividono tra chi pur di mantenere la bellezza di una finitura naturale che lasci intravedere le venatura del legno, è disposto a sostenere i costi di una manutenzione almeno triennale con vernice filmante e chi invece si orienta su una pittura dell’infisso filmante e totalmente coprente, sicuramente meno bella, ma che ha tempi di manutenzione molto più lunghi. Credo che alla base degli studi scientifici che nell’ultimo cinquantennio sono stati fatti negli U.S.A per recuperare l’antica tradizione della finitura ad olio ed in particolare dell’ olioresina, sia pur rendendola più performante con l’uso di resine sintetiche, vi sia la consapevolezza non solo che la virtù è nel mezzo , rappresentando l’olioresina il giusto compromesso tra estetica, durata e facilità di manutenzione, ma che il maggior diffondersi dagli anni 70 di una cultura per il “fai da tè” aveva creato i presupposti per una nuova domanda di mercato che andava soddisfatta con un prodotto funzionale che fosse nello stesso tempo di facile applicazione e rinnovo. La stessa tendenza mi sembra che stia prendendo piede,sia pur in ritardo,in Europa.
Io sono portato a vederla da un’angolatura un po’ diversa, direi socio-politica. L’industria, a partire dalla metà dell’800, ci ha imposto l’uso di prodotti più deperibili ai quali gli artigiani si sono assuefatti dimenticando l’uso delle vernici tradizionali. Dici che l’olio richiede una manutenzione eccessiva: le olioresine non richiedono ciò. Le vecchie casalinghe erano solite viaggiare in casa con l’olio “ nutriente” per i mobili: in questo modo reintegravano l’olio della vernice che tendeva a spolimerizarsi. La stessa cosa avveniva per gli infissi. Sono convinto che le olioresine fossero usate molto più comunemente di quanto il tuo intervento faccia intuire. Il Turquet De Mayerne nel Pinctoria, scultoria, tinctoria et qua subalterium artium (se non sbaglio risale ai primi anni del 600) sostiene che l’olio di ambra di Venezia si trovava in tutte le mesticherie italiane, ed anche nel coevo cosiddetto “manoscritto padovano”, di autore anonimo si accenna alla stessa cosa. Come ho già detto in altri interventi mi sono fatto l’idea che quella che noi chiamiamo “industria” sia sempre esistita; cioè: sono sempre esistite grandi fabbriche spesso multinazionali che producevano quantità inimmaginabili di vernici. Basti pensare alla biacca, della quale vi sono più testimonianze storiche. Olandesi e repubbliche marinare ne fabbricavano a ciclo continuo con sistemi che oggi definiremmo “catene di montaggio”; addirittura spostavano la sua fabbricazione in paesi sottosviluppati per non dover rispondere dei morti per saturnismo ed abbassare il prezzo di produzione. Vi sono testimonianze che parlano addirittura di viaggi organizzati per assistere a tali lavorazioni che, pare, fossero effettuate con tale maestria e velocità da risultare coreografiche.
Voglio dire che siamo portati erroneamente a pensare che certi cambiamenti siano maggiori di quanto non siano stati effettivamente. È per ciò che preferisco vedere la cosa sotto un aspetto, come già detto, sociopolitico. È positivo che un ente statale conduca ricerche che in qualche modo collidano con le tendenze dell’industria. Nella Comunità Europea suppongo che ciò sia impossibile.
Attenzione : non ho detto che le oleoresine in passato non erano diffuse,ma che le stesse venivano usate dagli artigiani i quali soli avevano le perizie tecniche per farlo.
A questo si aggiungeva però anche la buona consuetudine da parte delle famiglie di curare personalmente la manutenzione degli infissi con l’olio di lino, quale pura finitura ad olio o ( come giustamente hai osservato ) a reintegra di un’olioresina ( in precedenza applicata da un artigiano ) per prevenirne la spolimerizzazione.
Col processo d’industrializzazione e l’immissione sempre più massiva di vernici a base di resine sintetiche queste sane tradizioni all’interno delle famiglie si sono gradualmente perse.
Gli stessi artigiani si sono dovuti adeguare all’impiego di questi nuovi prodotti ed al cambiamento dei gusti dettati dalla produzione industriale.
Con questo non voglio dire che non vi fossero artigiani che continuavano ad usare oleoresine o vernici con resine naturali, ma che la maggioranza si è dovuto adattare ai nuovi costumi.
E’ storia recente la riscoperta delle oleoresine rivisitate in chiave moderna con resine sintetiche, che si sono rivelate valida alternativa alle finiture filmanti, come la ricerca scientifica ha documentato.
A questa riscoperta secondo me ha anche contribuito il crescere di una cultura del “ fai da te “ ( agevolata in seguito anche da internet e dalla velocità ed accessibilità delle informazioni) per cui da circa un ventennio è possibile quello che nei secoli precedenti non era neanche immaginabile : l’utilizzo da parte delle famiglie non soltanto dell’olio di lino ma delle stesse olioresine, un tempo prerogativa esclusiva degli artigiani. Ed io ne sono la prova tangibile.
Ovviamente, questo è uno degli aspetti.
Nelle mie lezioni trovo molto comodo per spiegare la differenza fra le vernici antiche e quelle moderne fare un parallelo con l’edilizia; l’uso della calce sostituito dalla metà dell’800 con i cementi. Traspirante e tenera la prima, duro e non traspirante il secondo. L’industria moderna ha rivoluzionato la concezione dei materiali; anzi, direi che gli operatori del settore, dagli artigiani agli ingegneri abbiano dimenticato le proprietà dei materiali. L’altro giorno parlando con un docente di scienza dei materiali ne ho avuto una conferma. Gli operatori del settore dagli anni 50 in poi hanno trascurato totalmente questo aspetto, tanto che i calcestruzzi creati da quegli anni in poi stanno degenerando velocemente creando grossi problemi. La stessa cosa è capitata nella falegnameria. Forse è vero che anche in Italia si sta tornando indietro, ma questa reversibilità è estremamente lenta e faticosa, sia perché per l’artigiano è difficile rinunciare o rivedere le nozioni e le tecniche che si sono imparate, ma soprattutto per come sono configurati gli organismi della comunità europea e, quindi, la ricerca e la propaganda. Anni fa qualcuno mi propose di far parte di una commissione europea nell’ambito del restauro. Confesso la mia emozione per quello che intendevo come un riconoscimento probabilmente immeritato. Quando si trattò di concretizzare la cosa scoprii che avrei dovuto pagarmi le spese (viaggi, soggiorni, interpreti, ecc..), a meno che non avessi trovato..come dire…uno sponsor, un’industria che mi finanziasse. Insomma, avrei dovuto portare avanti discorsi economicamente… produttivi per dei finanziatori.
È per ciò che le sperimentazioni USA che citi mi stupiscono.
È per ciò che penso che una razionale evoluzione in Europa non sia così semplice.
La riottosità degli artigiani, anche di fronte a prove storiche ed inconfutabili, tu stesso l’hai vista in questo forum; ed i produttori annaspano. Mi è capitato di sentirmi un po’ come un marziano parlando con produttori di olioresine, quando dicevo loro che producevano vernici simili a quelle storiche e che avrebbero potuto pubblicizzarle come tali!
Le uniche lusinghiere soddisfazioni mi arrivano da quei pochi artigiani e restauratori che provano ed imparano ad usare queste vernici e che mi telefonano entusiasti da tutt’Italia.
E poi, permettimi, tu sei un caso eccezionale. Forse anche perché hai affrontato l’argomento senza pregiudizi.
blo è stato molto professionale e corretto nello spiegare certi concetti.
Nel mio piccolo saranno 40 anni che uso e ho visto usare l'olio di lino cotto sugli infissi, mio padre prima di me mi parlava di trementina da mischiare insieme con la pece greca, ora la chiamano colofonia) e vari intrugli segreti che molti si sono portati nella tomba.
L'unica cosa che mi meraviglia è che ora alcune case produttrici hanno rifatto gli stessi prodotti che gli artigiani facevano un tempo con un costo esagerato, e che gli americani non hanno proprio nulla da insegnarci.
Sempre sperando che non si spalmino sui mobili antichi.
E secondo te cosa "spalmavano" anticamente sui mobili?
giobbe, giobbe..... gli americani hanno molto e poco da insegnarci, posso assicurartelo. Nazione giovane e multietnica, patria della realizzazione del sogno, patria di contraddizioni e opposti, sicuramente non possono insegnarci chi siamo, la nostra esistenza si sviluppa e vive immersa in sedimenti secolari, ci nutriamo e cresciamo a contatto diretto con il nucleo primigenio della storia"grande", esco di casa e percorro a piedi un tratto dell'antica via appia, la rampa di accesso al centro storico ancora integra colma un dislivello di 40 metri e ancora regge egregiamente dopo 2300 anni, no, gli americani non possono insegnarci chi siamo. Possono insegnarci come si usa il denaro, come si organizza una ricerca, come si trattano i dati raccolti, come si confrontano gli stessi, e sopratutto come si affronta un problema senza pregiudizi.
Bravo Blo.
a novembre andrò ad arrampicare big wall negli states, ho in programma di incontrare alcuni restauratori della comunità italiana, sarà bello ed interessante fargli capire che anche dalle nostre parti beneficiamo per fall out delle loro ricerche
Non voglio ritornare su vecchie polemiche già ampiamente discusse, ma leggendo mi trovo concorde alle argomentazioni di Pomacciolo e Pin8cchio, condivido a pieno il vostro pensiero, e un qualcosa che affermai all'inizio di questo post, l'America grande paese ma povero di una storia millenaria che noi Italiani ci portiamo dentro è troviamo ad ogni angolo da nord a sud se sappiamo guardare, troppo spesso dimenticata, per dare spazio ad un esterofilia che accompagna noi Italiani da sempre, pensando che l'erba del vicino è sempre più verde, tutto questo argomentare valido su un infisso, ma per cortesia non mettiamo queste vernici sul mobile antico, che porta con se una storia che non a niente a che fare con queste vernici di attuale concezione, è un illusione pensare che l'industria possa riprodurre la storia e il passato non ripetibile in laboratorio.
La differenza fra gli USA e noi è data dal fatto che noi siamo talmente abituati a vedere le nostre testimonianze storiche da non guardarle nemmeno più e non apprezzarle. L’artigiano si lascia facilmente prendere dall’oblio inseguendo le farfalle della novità o adagiandosi sulle poche nozioni trasmesse da altri artigiani culturalmente ottusi. Nell’800 la moda imponeva mobili lucidissimi che copiavano le cineserie, e, quindi, il falegname ha abbandonato le vecchie tecniche, ed i figli non le hanno mai imparate, ed ora le rifiutano inorriditi.
Gli americani sono, tutto sommato, culturalmente vergini, e, quindi, facendo della ricerca, arrivano a conclusioni logiche che scandalizzano certi nostri artigiani, ma che erano logiche anche nel nostro passato.
Sui mobili è sempre stato dato olio di lino, mescolato con varie resine o con cere, ma sempre olio di lino. Ce lo dice la ricerca storica. E la ricerca chimica ci dice la stessa cosa. Certi artigiani si sono inventati strane teorie per giustificare l’uso di resine che non venivano usate. Sintomatiche sono le fole inventate per esempio su Stradivari: per decenni certuni hanno sostenuto che le sue vernici erano a base di gommalacca. Le analisi chimiche smentiscono ciò: ci dicono olio di lino. Eppure se fate una ricerca in rete troverete ancora ciarlatani che sostengono la teoria della gommalacca! I testi conosciuti, dal 1000 in poi ci dicono che i mobili venivano verniciati con olio di lino mescolato con una resina. Analisi chimiche lo confermano. Sono state trovate tracce di quest’olio persino su mobili egizi. Anche le pitture come la biacca erano fondamentalmente costituite da olio di lino. E vi è un motivo ben preciso: la sua permeabilità. Questo olio è quello che meglio garantisce la conservazione del legno: lo protegge lasciandolo traspirare. La scienza umana dall’inizio della storia non ha mai trovato nessun materiale che conservasse altrettanto bene il legno.
I nostri artigiani, diseducati da teorie promulgate da un’industria che dalla metà dell’800 ha vissuto sulla caducità dei materiali, hanno dimenticato le proprietà e le caratteristiche dei materiali stessi. Hanno disimparato l’arte della conservazione. Non oso pensare a cosa, loro, “spalmerebbero” su un mobile del ‘600!