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4 – Intarsio dei materiali lapidei

L’intarsio può anche essere eseguito in materiali lapidei, esso può essere a commesso o a mosaico. Quella del mosaico è la tecnica più antica e ne troviamo esempi fin dal III° millennio a.C. in Mesopotamia

Fonte: Queste schede tecniche d’antiquariato sono state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro, con la collaborazione della moglie Mara Bortolotto, per la rubrica mensile edita sulla rivista “L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non riportate.

Fino ad oggi i sistemi di lavorazione della pietra sono rimasti pressoché gli stessi.

 

Srtumenti necessari all’intarsio

Lo strumento fondamentale è rappresentato dalla sega a smeriglio, che troviamo perfettamente raffigurata in un bassorilievo romano proveniente dalla necropoli dell’isola di Sacra (ora al museo d’Ostia), in cui due operai sono intenti alla “segagione”. Essa è costituita da un telaio a forma di H in cui ad un’estremità è fissata una lama metallica ed all’altra un tirante, di corda o di cuoio. La lama è alta da dieci a quindici centimetri, per circa due metri di lunghezza ed uno spessore di qualche millimetro. Chiaramente più è sottile meno fatica incontra nel taglio. Gli egizi avevano solo il rame e quindi dovevano farla più grossa dei romani possessori del ferro. Viene mossa da due lavoranti, che la fanno correre avanti ed indietro, versando nel solco costantemente acqua e smeriglio. Come abrasivo si utilizza principalmente la sabbia quarzifera; poi più recentemente lo smeriglio ed oggi il carborundum.

intarsio lapideo sega a smeriglio
Sega a smeriglio per il taglio lapideo

La sega deve essere appoggiata semplicemente senza grande pressione, in modo da far lavorare l’abrasivo, a tale scopo essa è sospesa con pulegge ad un’impalcatura apposita. Il taglio avviene dunque per abrasione. Si possono con tale sistema tagliare anche materiali molto duri. Il Salmoiraghi alla fine dell’Ottocento ci dà i seguenti tempi di lavorazione in ore impiegate da due operai per segare un metro quadro di pietra: 7-10 pietre tenere  (uniche ad essere segate con sega a denti, tutte le altre con sega liscia); 10-16 calcari semi-duri; 20-40 calcari compatti, come il giallo Siena ed il travertino; 175-300 graniti; 400-500 porfidi. Con la sega a smeriglio si possono: sia squadrare le pietre, sia sagomarle tangenzialmente ai punti più esterni della scultura, sia ottenere lastre di qualche centimetro per piani o rivestimenti, sia lastrine di qualche millimetro per le lastronature.

 Altro strumento indispensabile è il ruotino. Esso è costituito da un disco metallico di piccolo diametro collegato ad un’asta, che gli trasmette il movimento tramite una puleggia. Utilizzato per i piccoli tagli delle tessere del mosaico come dell’intarsio; sempre per mezzo dell’acqua e dello smeriglio. La mola, consistente in un disco rotante di pietra abrasiva di vari spessori e diametri.

 

intarsio lapideo martellina
La martellina

La martellina, utile al taglio di piccoli pezzi, martello a forma d’arco terminante alle due estremità a cuneo con facce a spigolo vivo, si picchia la lastrina da tagliare posta sul tagliolo, piccolo incudine verticale a forma di cuneo con la faccia superiore a spigolo quasi tagliente.

La moletta, piccola lama per segare con lo smeriglio e l’acqua a mano le tarsie.

Seguono i vari tipi di scalpelli. La subbia per sgrossare, che finisce con una semplice punta ricavata sfaccettando a piramide il terminale;

 la gradina per pareggiare, terminante con due o più piccole punte, lo scalpello piano; l’ugnetto per le rifiniture, con la punta a forma di lancia  particolarmente assottigliata. Quindi ci sono varie tipologie di lime. Ed in fine per la spianatura l’orso, una piastra forata.

 Sistemi di lavorazione dell’intarsio lapideo

La prima operazione è costituita dallo spacco. Essa consiste nel tagliare, di norma lungo il piano di maggiore ampiezza, il blocco per vederne il disegno, il colore e la grana. È eseguito con la sega a smeriglio su uno o più blocchi fissati con del gesso, per una lunghezza tale da risultare interna al movimento della lama. Le facce dei blocchi sono poi fissate, cercando di coprire tutta la superficie segabile, sempre con gesso, su di una lastra perfettamente piana, che è posta verticalmente, in modo da poter tagliare con la sega,  posta perfettamente a piombo, contemporaneamente diverse lastrine dalle varie facce.

L’intarsio può essere eseguito a commesso, avvicinando le tarsie come in un puzzle,  od a cassina, inserendole nella superficie intagliata.

 Intarsio a Commesso

Nel commesso le tarsie sono incollate con un mastice ad un piano, la fodera, di pietra non troppo pesante e sufficientemente porosa da ancorare bene il mastice.

 

intarsio a commesso
Intarsio a commesso

S’intarsiano anche superfici curve, ma in questo caso lo spessore delle lastrine deve essere maggiore onde evitare che durante la levigatura si scoprano parti troppo sottoquadro. Dopo aver tagliato approssimativamente le tarsie secondo il disegno con la moletta, le si sagoma perfettamente con la mola e le si rifinisce con le lime, in modo che si incastrino perfettamente tra loro. Il mastice è applicabile a caldo, per cui bisogna riscaldare bene anche le due facce di pietra da incollare. Anticamente ciò è eseguito mediante carboni ardenti accostati alla superficie, sospesi su reti metalliche.

Il mastice, chiamato mistura, è composto di pece greca e cera d’api. Con l’aggiunta di polvere di marmo, e di trementina si fa lo stucco.

Come mastice si utilizza a caldo anche l’asfalto, però essendo nero solo per marmi scuri. La mistura permette di riposizionare il pezzo mal incollato, tornandolo a scaldare. Anche la gommalacca (estratta da alcuni insetti che succhiano la linfa d’alcuni alberi dell’Asia) è utilizzata per incollaggi incolori, ma richiedendo un maggior riscaldamento rende il marmo ancor più soggetto a rompersi, di quanto non succede già con gli altri metodi. Si usa anche la gomma dammàr o damar (resina dell’albero Dammara Alba, dell’Australia e della nuova Zelanda) sciolta in acquaragia, come vernicetta per coprire i segni di matita, che non devono essere cancellati durante le lavorazioni ad acqua. La biacca (pigmento per vernici ad olio biancastro, molto usato in passato ed oggi vietato perché tossico) serviva per colorare superficialmente di bianco i marmi scuri in modo da potervi facilmente disegnare sopra; mischiata alla damar e ad altri pigmenti costituisce un ottimo stucco per i marmi policromi.

Una volta incollate tutte le tarsie si procede alla spianatura per eliminare tutti i dislivelli. Essa si ottiene fregando la superficie con pietre abrasive naturali di grana sempre più fine come: la rota grossa, quella fine, la rota inglese e la pomice. Si continuava strofinando acqua e polveri abrasive, la più comune in antico è la sabbia, più tardi lo smeriglio, con una piastra di pietra o di ferro, l’orso, traforata in modo da permettere di versare nei fori l’abrasivo sempre della stessa grana, per  integrare quello consumato dallo sfregamento. Una volta spianato tutto il lavoro si continua con l’abrasivo e la polvere di marmo mista ad acqua presente, che via via diventa sempre più sottile ed a sua volta leviga più finemente. La lucidatura finale è ottenuta strofinando la superficie ulteriormente, rapidamente ed energicamente con un tampone rivestito da una lamina di piombo, fase chiamata appunto piombatura, fino ad ottenere un lucido brillante. Basti pensare che la lucidatura richiede altrettanto tempo della spianatura per capire quanto siano lunghi i tempi di tali procedimenti. La spianatura e la lucidatura manuale sono riconoscibili, rispetto a quella moderna meccanica, perché la superficie benché lucida risulta comunque irregolare e non perfettamente piana.

 

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Intarsio a cassina

Nell’intarsio a cassina si procede come in quello a commesso, con l’ulteriore difficoltà di dover scolpire le celle che ricevono le tarsie nella pietra, ricavando sempre lo stesso livello di sottosquadro. Naturalmente la pietra del supporto in questo caso appare, dove non viene scavata, facendo parte del disegno dell’intarsio.

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