La Carta italiana
Fonte: Artigianato artistico del Veneto
Il primato della fabbricazione della carta in Veneto si deve a Padova ed in particolare a Battaglia Terme, piccolo ma importante borgo sorto alla confluenza di due canali, quello di Battaglia e di Monselice, nel punto dove si apre, con un notevole dislivello, un altro canale, il Canale di sotto o Vegenzone. Proprio a causa di questo dislivello l’acqua ha fornito per molti secoli un importante fonte di energia, utilizzata per far girare diverse “ruote”, alcune della quali servivano per molare il grano, altre per azionare delle seghe, altre ancora un maglio meccanico, un follo o follone, in grado di macerare gli stracci per fabbricare la carta.
La più antica fabbricazione della carta si deve a maestranze provenienti da Fabriano, la prima e più importante città italiana dove fu fabbricata la carta. Nel 1340, Pace da Fabriano, infatti, ottenne il permesso di fabbricare carta da Umbertino da Carrara, Signore di Padova, mentre, qualche anno più tardi sono documentati altri maestri artigiani come “magistro Francisco a cartis quodam ser Presentis de Fabriano”.
Da allora la produzione continuò fino al XVIII secolo, quando scomparve, soppiantata da altre manifatture come quella di Oliero e Bassano; in verità la qualità della carta di Battaglia non raggiunse quasi mai livelli di eccellenza e fu in grado di mantenere la produzione solo perché vigeva un sistema di monopolio che vietava la stampa e il commercio di libri confezionati con carte “straniere”. Il Privilegio o monopolio, fu abolito dal Doge nel 1676, in seguito alle molte proteste dei professori e degli studenti dell’Università di Padova, costretti ad una produzione di libri che, necessariamente, venivano stampati su carta pessima venduta a prezzo rigorosissimo.
Nel XVI secolo la produzione della carta prodotta Battaglia si distingueva in: Carta real, la più pregiata, Carta mezzana, Carta cancelleresca, Carta Fioretto e lo Strazzo, la meno pregiata. Nel XVIII secolo, invece esistevano i seguenti tipi di carta: Corsiva ordinaria, Corsivetta ordinaria, Da scrivere fina, ordinaria e da navigar, Da Lion fina, Reale sottile, per far sonetti, De Manganeri (manganatori, artigiani tessili addetti al mangano, una macchina per rifinire i tessuti). La carta era commercializzata in quinterni, cioè cinque fogli, aventi dimensioni di cm 60/70 di base e cm 38/50 di altezza circa, piegati a metà, in modo da ottenere dieci carte (o fogli) e dieci pagine.
A Verona la famiglia Moroni accanto all’attività tipografica sviluppò una manifattura per la produzione della carta e anche i Remondini, celebri stampatori bassanesi, ovviarono agli alti costi di acquisto della carta e alla sua qualità non sempre buona, sviluppando una propria industria cartaria che li affrancava dalle produzioni veronesi, trevigiane e padovane (Battaglia Terme).
I Remondini assunsero così, la proprietà, o almeno il controllo, di diverse cartiere: un opificio funzionava già nel 1725 a Oliero, non distante da Bassano, un altro era situato a Vas, nel trevigiano, e un terzo a Cogollo, nel vicentino. Tra il 1735 e il 1739 Giuseppe Remondini entrò in possesso di tre cartiere che da allora lavorarono esclusivamente per rifornire di carta i torchi di Bassano. La cartiera di Campese, non distante da Bassano, era un moderno stabilimento sviluppato su tre piani e dotato di moderni macchinari, circostanza non comune in Veneto, dove, a causa di privilegi e di norme protezionistiche, si doveva registrare una pericolosa arretratezza tecnologica, a fronte di molte innovazioni che venivano introdotte negli altri paesi europei.
Le cartiere dei Remondini furono in grado non solo di far fronte alle molte richieste di carta per libri e stampe popolari che venivano messi in commercio in quegli anni, ma anche a destinare parte della produzione all’esportazione in Italia e all’estero: nell’Impero Ottomano (Smirne e Costantinopoli) in Spagna e in America. Accanto alla carta bianca, da stampa, nella seconda metà del Settecento, i Remondini cominciarono a produrre, con l’aiuto di tecnici tedeschi, carte lavorate e colorate utilizzate in tappezzeria, come carta da parti e i legatoria. Si tratta di carte cosiddette “Carte Varese”, alcune delle quali colorate in pasta, altre stampate a colori e comunque xilografate con motivi variamente composti tra loro. Venivano ottenute dopo vari passaggi sotto i torchi; particolarmente difficili da ottenere e ricercate erano le carte dorare e argentate. Se Venezia costituiva il miglior mercato per queste carte (il Teatro La Fenice era rivestito, nel 1792 con carte delle manifatture bassanesi) anche il resto d Europa e l’ America costituirono uno sbocco economico per questi prodotti di lusso.
La carta oltre a prestarsi alla stampa, può essere plasmata in varie forme, come cartapesta: già molti secoli fa i cinesi costruirono elmi in cartapesta, in india si costruirono scatole e gioielli con la cartapesta opportunamente laccata. La cartapesta fu adottata al posto dello stucco e del marmo per decorare l’interno di edifici (questa tecnica è stata adottata anche nei decori del palazzo reale di Torino) o per plasmare statue (come la bella Pietà del che troviamo nel complesso delle Sette Chiese di Santo Stefano a Bologna, generalmente scambiata per una statua lignea dipinta). A Venezia perdura la tradizione delle maschere in cartapesta.
Dagli esordi e fino al XVIII secolo (nonostante un periodo di decadenza nel corso del secolo XVII) il Veneto primeggiò nell’arte della stampa. Venezia e Padova, per motivi diversi furono le capitali dell’editoria veneta, seguite da Treviso, Vicenza e Verona. A Venezia la stampa si sviluppò per un felice connubio tra cultura e capitale, a Padova fu lo Studio, cioè l’Università, a dare impulso all’editoria.
L arte della stampa fu introdotta Venezia, nel 1469, dal tipografo tedesco Giovanni da Spira, da suo fratello Vindelino e da Nicola Jenson e trovò ben presto un terreno fertile per prosperare con i grandi tipografi degli inizi del Cinquecento, confluiti a Venezia da diverse città italiane per impiantare solide aziende artigianali, tra i tanti ricordiamo: i Manuzio, i Torresano, gli Scoto, Panfilo Castaldi, gli Arrivabene, Giolito de Ferrari, Bernardo Stagnino, Gregorio de Gregori e Clemente da Padova, sacerdote e maestro di calligrafia. Alcuni tipografi come i Manuzio furono umanisti e professori universitari, e tutti avevano, comunque, una solida cultura, tanto che furono anche curatori ed editori delle opere che stampavano.
Nel corso del Cinquecento a Venezia erano attive ben centocinquanta tipografie, tutte di ottimo livello, un numero maggiore a quelle del resto d Italia e, forse, d Europa. Le edizioni veneziane del Cinquecento sono ricercatissime per la loro accuratezza dei testi, la bellezza dei caratteri tipografici e la finezza delle illustrazioni. Se nel corso del Seicento, la qualità non fu sempre alta, nel Settecento assistiamo ad una rinascita della tipografia veneta: Gli Zatta, gli Albrizzi, i Baglioni a Venezia, il Comino a Padova, i Remondini a Bassano, ci hanno lasciato edizioni eccelse e mai più eguagliate.
Fotografia, grafica e design
Le nuove tecniche di riproduzione dell’immagine, perfezionate nella seconda metà dell’Ottocento, hanno sviluppato nuove figure di artisti-artigiani, tra questi i fotografi e i grafici pubblicitari. I fotografi dell’Ottocento realizzavano le fotografie con procedimenti manuali che comprendevano la preparazione delle carte fotografiche per la stampa del positivo, delle lastre fotografiche per il negativo, degli acidi per lo sviluppo. Talvolta i fotografi costruivano loro stessi le attrezzature per la riproduzione delle fotografie, allestivano artigianalmente la camera oscura e realizzavano le macchine fotografiche (si trattava di grandi apparecchiature in legno) delle quali acquistavano solo l’ ottica.
Fin dagli ultimi decenni dell’Ottocento, accanto al tradizionale settore della ritrattistica, comune a tutte le regioni d Italia, il Veneto, contemporaneamente allo sviluppo delle attività turistiche e delle località termali e balneari, ha incrementato con particole enfasi il campo della cartolina illustrata: Venezia, Verona, il Lago di Garda, Padova e la zona termale euganea, Recoaro, le Dolomiti e Cortina d Ampezzo vantano un eccezionale ininterrotta e persistente produzione di cartoline illustrate. Per analoghi motivi si sviluppa in Veneto il settore della cartellonistica pubblicitaria.
Per fare un esempio, nella sola Cortina d Ampezzo, che contava allora circa tremila abitanti, alla fine dell’Ottocento, erano attivi ben tre laboratori fotografici artigianali, quello di Giacinto Ghedina capo di una dinastia di fotografi, il più antico, era situato presso l’Albergo Aquila Nera ed era specializzato nelle riprese dei paesaggi dolomitici. Un altro laboratorio artigiano era quello di Emil Terschak di origine boema, situato nel vecchio Municipio e infine quello di Antonia Verocai in Zardini, una donna-fotografo, professione inusuale a quei tempi, che aprì il proprio laboratorio artigiano nella piazza del paese. Questi artigiani, e soprattutto i Ghedina, partivano la mattina presto – sia d estate che d inverno – con il loro ingombrante bagaglio costituito da un solido treppiedi e da una pesante macchina fotografica (pesava oltre quattordici chili), percorrevano a piedi – o a dorso di mulo – molte ore di cammino per fotografare gli angoli più belli dei paesaggi dolomitici.
A Padova e provincia, per citare un altro esempio, nel secolo scorso, si sono sviluppati importanti laboratori artigianali di fotografia, come quello di Menotti Danesin (1894-1976), il cui prezioso archivio è conservato dal Museo Civico e dall’Università di Padova, di Gino Falcaro (1879-1964) insignito della medaglia d oro alla prima esposizione della Fiera Internazionale di Roma, Giovanni Carlo Giradi (1900-1964) attivo ad Abano Terme e sui Colli Euganei, Luigi Battisti (1891-1966), pittore, decoratore e quindi fotografo, attivo a Piove di Sacco, e, non ultimo, Luigi Turola (1889-1968), uno dei grandi maestri fotografi del Veneto.
Il grande sviluppo industriale che ha caratterizzato il secolo scorso, ha accentuato la comunicazione visiva nella quale si combinano parole, logotipi, simboli ed immagini e ha creato una nuova figura, quella del grafico pubblicitario: fino alla metà dell’Ottocento questa professionalità era sconosciuta perché il tipografo sceglieva egli stesso i caratteri e le immagini e le componeva con intenti prevalentemente estetici. Da quando, invece, si è presentata la necessità di affinare la comunicazione, di distinguere i vari tipi di pubblicità, di “colpire” con messaggi adeguati i diversi “target”, allora è nata una vera e propria strategia comunicativa nella quale il grafico impegna la propria creatività per far emergere il suo messaggio tra la miriade di messaggi che vengono prodotti ogni giorno.