La ceramica cinese
In Cina ‘arte della ceramica non decadde mai al livello di arte minore, ossia di arte decorativa nel quale l’Occidente l’ha relegata.
Fonte: Alessandra Doratti
Leggende antichissime, amorosamente raccolte, e spesso commentate dagli storici e dai filosofi cinesi testimoniano quale importanza avesse l’arte della ceramica fin dai primordi della civiltà cinese. È stato tramandato ad esempio che Chuen, l’ultimo dei cinque mitici sovrani che precedettero la fondazione della prima dinastia ricordata dalla cronologia tradizionale, quella dei Ilia, nata nel secondo millennio a. C, oltre a essere pescatore e agricoltore esercitasse anche l’arte del vasaio.
L’arte della ceramica, che è fondamentale e completa, fu sempre in auge, in tutti i secoli e non decadde mai al livello di arte minore, ossia di arte decorativa nel quale l’Occidente l’ha relegata. Sin dagli inizi incontrò il favore degli amatori e letterati, pittori, poeti, altri dignitari e imperatori lodavano i pregi dei vari pezzi delle loro collezioni, usciti da forni famosi. La corte imperiale non tardò a riservarsi la produzione di certi forni e a creare manifatture di sua esclusiva proprietà. La più celebre, quella di Kingtechen nella provincia di Kiangsi, fondata nel 1369, agli inizi della dinastia Ming (1368-1644), raggiunse una fama che doveva rimanere insuperata.
Quest’arte che toccò un grado di perfezione incomparabile, poté fiorire soltanto perché i collezionisti cinesi erano intenditori raffinatissimi, ed esigevano molto più di quanto si cerchi di solito nelle ceramiche o nelle porcellane delle manifatture europee.
Per i cinesi non bastava che la forma fosse armoniosa: la ceramica doveva contenere elementi di ammirazione più raffinati, la cui scoperta commuove la sensibilità di chi la osserva, e chiama in gioco l’intelligenza e la cultura.
L’oggetto deve “parlare” alle dita che lo sfiorano o l’accarezzano. In certi casi può suscitare una sensazione tattile di untuosità, può evocare il belletto usato dalle donne. Sono apprezzate in modo particolare le vernici leggermente irregolari, disseminate di forellini minuscoli, da cui sono sfuggite le bollicine d’aria durante la cottura; oppure quelle impercettibilmente ondulate, paragonabili alla buccia di un’arancia. A volte, quando gli occhi scoprono nell’oggetto la lucentezza di una giada preziosa, il collezionista ha quasi l’impressione di toccare un minerale levigato. Parecchie belle ceramiche, in particolare del periodo Sung (960-1279), sembrano essere il frutto di ricerche orientate in questo senso.
Il “timbro” è un elemento determinante nella valutazione delle paste dure, grés e porcellana, che devono dare un suono limpido, spesso paragonato a quello dei litofoni, le giade sonore delle antiche orchestre cinesi. A partire dal periodo Yang (618-907), ha inizio la produzione di vasi musicali a percussione, raggruppati in serie di cinque pezzi, che riproducevano la scala melodica cinese.
Infine, ed è qui la differenza tra i criteri di giudizio dell’esperto cinese e di quello occidentale, una ceramica deve parlare contemporaneamente alla sensibilità, alla cultura, all’educazione. Anche una ceramica o una porcellana devono evocare immagini, allusioni, simboli o analogie con qualunque altra produzione artistica, si tratti di una pittura o di un bronzo o di una giada.
E sono numerosi i capolavori che per la materia di cui sono fatti, e per i colori e per l’ornato in stretta relazione con la funzione dell’oggetto, richiamano un determinato momento della successione delle stagioni, o un avvenimento preciso dell’esistenza.
Gli espedienti per scandire le stagioni
Ad esempio il vaso destinato a contenere un ramo di susino, i cui fiori delicati simboleggiano l’inverno e l’anno nuovo (che secondo il calendario lunare cinese inizia dopo il nostro) porterà incisi con mano leggera alcuni motivi che accentuano il significato dei fiori. Un vaso per le peonie, simbolo della primavera, dovrà mettere in risalto i fiori, contribuendo con la forma vigorosa e l’eleganza dell’ornato, all’evocazione del rinnovarsi della natura.
Sul vaso che accoglierà i crisantemi, la decorazione e le mezzetinte della vernice, dell’invetriatura o dello smalto dovranno contribuire armonicamente a esprimere il fascino nostalgico degli ultimi calori estivi e delle prime foglie morte.
Per suggerire quest’impressione della natura che si evolve, questa cornice stagionale cui è legata l’arte cinese, bastano a volte alcuni insetti, o alcune piante, che susciteranno nell’esperto appassionato la visione di un dipinto, o una reminescenza poetica. In epoca successiva, qualche verso, riassunto in pochi caratteri tracciati sulla ceramica, preciserà l’intenzione poetica dell’artista.
Il vaso panciuto, da cerimonia, avrà un ornato che, pur apparentemente senza alcun significato, porterà una nota di ottimismo ai convitati.
Le scoperte archeologiche consentono di affermare che l’arte della ceramica aveva già conseguito uno sviluppo considerevole nel periodo della pietra levigata, verso la fine del terzo millennio a. C.
A quell’epoca le popolazioni che si erano stabilite in numerose regioni della Cina fabbricavano ceramiche notevoli per la ricerca accurata dell’equilibrio, della perfezione tecnica, limitatamente agli utensili di cui disponevano, e per il gusto vigoroso e sicuro destinati fin da allora a caratterizzare le varie epoche dell’arte della ceramica cinese. I temi decorativi arcaici (spirali, circoli, quadrettature, graticoli) si ricollegano a simboli antichissimi che richiamano l’idea della morte e della fecondità.
E intorno al defunto il nutrimento per l’aldilà
I vasi, le urne e le giare tombali venivano collocati intorno al defunto, riempiti di cereali, destinati al nutrimento nell’aldilà e simbolo al tempo stesso della potenza germinativa e del rinnovamento.
Nei sepolcreti di Cantun e dell’Hohan sono state rinvenute belle ceramiche fra cui molte lavorate al tornio, d’una pasta spesso molto dura e sottilissima.
Il decoro è semplice, inciso oppure in leggero rilievo. La pasta bianca è quasi completamente vetrificata od è assai simile alla porcellana. Nel primo millennio a.C. la fabbricazione delle ceramiche si diffonde in altre regioni della Cina. Durante il cosiddetto periodo dei regni combattenti, (dal VI al III secolo a. C.) un’aspra epoca di lotte feudali che si concluse con l’unificazione della Cina sotto il dominio degli T’Sin, profonde innovazioni si verificarono nei vari campi dell’arte, in particolare nei bronzi, dove appaiono forme e ornati nuovi, dovuti in parte all’influsso dei nomadi della steppa, che si ritrovavano anche nella ceramica. Pare che gli inizi della ceramica verniciata, allorché si mirava a conferirle la parvenza del bronzo, risalgono a quest’epoca.
Scienza e tecnica nei nuovi processi di coloritura
Sotto la dinastia Han (206 a. C.- 220 d. C.) lo sviluppo delle scienze, della tecnica, delle arti si riflette nel campo delle ceramiche.
Quelle che conosciamo, limitate generalmente agli oggetti funerari, continuano a ispirarsi, nella forma e nella decorazione, ai bronzi dell’epoca. L’impiego delle vernici si è diffuso ampiamente. A base di silicato di piombo con l’aggiunta in genere di ossido di rame, consentono degli effetti di patina verde, cui la lunga permanenza sotto terra ha conferito delicate iridescenze.
Durante i secoli che intercorrono fra la dinastia Han e l’avvento della dinastia T’ang, non si notano nella ceramica processi tecnici degni di rilievo. Di questo periodo conosciamo soprattutto statuette funerarie in ceramica dipinta, che diventeranno più raffinate sotto i Wei e i Sui, le ceramiche grigie di Huan, e certi grés del Sud, in particolare quelli di Chekiang, chiamati grés di Yüe, che percorrono con belle vernici colorate con ossido di ferro i céladons delle epoche più recenti.
Nella forma e nel decoro di numerosi pezzi di quest’epoca si notano gli influssi stranieri, penetrati in Cina dopo l’impero Han, grazie agli intensi scambi che avvenivano tra la valle del flume Giallo e l’Asia centrale, l’Iran, l’India, e perfino la Siria Romana. Soprattutto nella Cina settentrionale troviamo ceramiche ispirate alle bottiglie romano-siriane, agli oinochés o ai ryton dell’arte ellenistica asiatico-occidentale, e certe anfore per l’acqua copiate dall’oreficeria iraniana.
Anche il contributo buddista risale alla stessa epoca, e lo si nota in certe forme di ceramiche T’ang e Sung: coppe per libagioni, ampolle da cerimonia e altre. Appaiono motivi ornamentali di nuovo tipo, come il loto, emblema della purezza, che ha una parte importante nell’arte buddista, o i medaglioni riportati sui fianchi di certi vasi, in rilievo, che rappresentano creature mitiche, appartenenti all’iconografia buddista, i quali richiamano a volte sculture in altorilievo dei santuari rupestri della Cina settentrionale e dell’Asia centrale.