Le chiavi in Italia
Fonte: Testi e immagini nella forma integrale sono pubblicati sul libro “Le antiche chiavi, tecnica, arte e simbologia” di Roberto Borali, Burgo editore 1993.
La Francia, la Germania e la Spagna sono le nazioni in cui i manufatti in ferro battuto ebbero una più vasta, artistica e raffinata produzione; segue l’Italia con l’incomparabile sua prerogativa di logica, semplicità e naturalezza: le chiavi e serrature italiane sono infatti nel loro complesso, meno elaborate e più sobrie. Il nostro Paese non produsse nulla di tanto originale che si possa paragonare alle chiavi e serrature francesi del tardo Gotico; o di tanto esuberante da eguagliare le decorazioni delle chiavi e serrature barocche e rococò prodotte dai maestri artigiani tedeschi; o di tanto raffinato che ricordi la composizione di certe chiavi e serrature ispano-moresche del XVII e XVIII secolo.
Chiave da porta. Lombardia, secolo XVII. Impugnatura tonda con scolpiture vegetali circonferenziali e floreali al centro; fascetta di rinforzo (base) modanata con scanalature terminali; canna liscia; pettine rettangolare con intagli diritti contrapposti. Lunghezza 11.5 centimetri.
Vennero costruiti oggetti semplici anche in quei Paesi, e oggetti elaborati in Italia, ma ciò che interessa non sono le eccezioni quanto i caratteri predominanti, ossia l’affermazione complessiva di quei manufatti nell’arte. L’artefice italiano, in sostanza, ha lavorato il ferro come ferro, senza chiedere a esso di emulare il merletto, il ricamo, la filigrana e senza perdere di vista i rapporti che doveva avere con l’ ambiente e l’uso cui era destinato.
Dopo la caduta dell’Impero romano (476 d.C.), a testimonianza del quale sono rimaste le più belle chiavi fuse in bronzo a cera persa e le più originali chiavi in ferro a doppia spinta mai costruite. L’Italia dovette attendere molti secoli prima di raggiungere una propria identità nazionale e artistica. L’arte medioevale in Italia si svolse in condizioni diverse da quelle dei Paesi al di là delle Alpi. Prima dovettero verificarsi la mescolanza delle razze e la progressiva fusione dei vinti e vincitori, poi calmarsi le vicende politiche e soltanto dopo molti secoli poterono chiarirsi e manifestarsi i caratteri nazionali.
Chiave da portone. Venezia, XVII secolo. Impugnatura rotonda con cordoniere a corona e rosone a dodici settori; base con sfaccettature poliedriche; canna pentagonale con sfaccettature triangolari contrapposte; pettine chiuso di forma rettangolare con mappa traforata e fronte sporgente. Lunghezza 18 centimetri.
Pur supponendo che la ruggine, grande nemica del ferro, abbia permesso solo a pochi oggetti di giungere ai nostri giorni, è però da ritenere che, per lunghi secoli, il ferro in Italia sia stato utilizzato senza nessuna pretesa artistica. Furono costruiti arnesi da difesa e di offesa, manufatti a scopo di sicurezza, come le grate e le spranghe delle porte, o di solidità costruttiva, come le bandelle di rinforzo, i perni e i cardini, utensili per l’agricoltura e qualche altro raro oggetto. Sicuramente tutti senza nessuna intenzione artistica, forgiando l’oggetto nella sua forma essenziale, talora rude, che rispondesse unicamente allo scopo pratico.
Le chiavi di quest’epoca sono costruite unicamente in ferro, con la tecnica della chiave maschia forgiata dal massello, in maniera semplice, essenziale e decisa, usando solamente il fuoco, il martello e l’incudine. La loro forma è quella classica: impugnatura, asta e pettine; manca la base; sono sempre maschie e di dimensioni piuttosto notevoli (dai 20 centimetri in su).
Anche se si hanno notizie di corporazioni e consorterie delle arti già costituite e operanti in comuni italiani prima del 1000, il desiderio di abbellire il manufatto di ferro e di farne oggetto di piacere artistico in Italia nacque dopo il 1000, probabilmente verso la fine del XIII secolo, e sicuramente non subito con intenzioni pretenziose come in Francia, Germania e Spagna.
Chiavi da mobile. Alto Adige, XVI secolo. (immagine di copertina). La grande: impugnatura a volute sovrapposte; elegante fascetta di tenuta (base) in ottone; canna liscia; pettine chiuso con mappa traforata e fronte sporgente. La piccola: impugnatura triforata; base con modanature; canna liscia; pettine rettangolare con fronte sporgente a tre denti. Lunghezza 14 e 10 centimetri.
In realtà è col ‘300 che l’arte del ferro battuto artistico prese vita, vigore e notevole sviluppo soprattutto in Toscana e in tutta l’ alta Italia dove, lungo i corsi d’acqua delle valli alpine, colossali ruote a pale davano moto e forza ai magli e agli speciali mantici che alimentavano il fuoco delle fucine. Ne è la riprova il proliferare, un po’ dappertutto in quegli anni, di consorterie e corporazioni fabbrili: a Milano, Matteo I Visconti (1250-1322), signore di Milano nel 1311 approvava lo “Statuto del Paratico dei Ferraj”; a Cremona gli Statuti comunali del 1313 ricordano “l’Ars Ferrarorium” che comprendeva tutti i lavoratori del ferro, compresi quelli dell’ottone e dello stagno; a Modena e a Pisa non si hanno corporazioni autonome, ma uno statuto dei fabbri nel quale confluiscono le specializzazioni più diverse; a Milano orafi e ferrai appaiono uniti nel “liber iurisdictiorum” (1396) e nei “capituli e ordine de li fabbri e aurifici” del 1468; a Firenze e a Bologna invece si mantengono corporazioni autonome.
Fu proprio in quest’epoca rinascimentale che diverse provincie italiane, pur rifacendosi a quelli che furono i principi strutturali e decorativi del gusto italiano del XIV, XV e XVI secolo, costruirono chiavi e serrature con disegni, forme e gusti propri. Forme e gusti che per tutto il periodo rinascimentale furono di esempio a ogni Paese europeo.
La signorile semplicità della tradizione classica rinascimentale italiana resistette per tutta la prima metà del 1600 alla nuova fastosità e arditezza della ferronerie francese. L’architettura barocca, pur vantando, già nella prima metà del ‘600, soprattutto a Roma, opere architettoniche di così alto valore da influenzare tutto il mondo civile, non raggiunse altrettanti significativi risultati nell’arte fabbrile in quanto preferì l’uso della pietra e del marmo a quello del ferro. Ciò spiegherebbe la scarsa applicazione del ferro battuto in Italia nel periodo in cui altri Paesi, specie quelli d’oltralpe, ne fecero un largo uso e con risultati tanto sorprendenti.
Chiavi da mobile. Lombardia, fine XVI secolo. La grande: impugnatura dall’originale disegno a foglie d’acanto, base con profonde scanalature, canna liscia, pettine rettangolare con mappa traforata e fronte sporgente. La piccola: impugnatura trilobata e triforata, base con modanature, pettine rettangolare con intagli contrapposti e fronte sporgente. Lunghezza 14 e 7.5 centimetri.
A esclusione dell regioni nord-occidentali, centrali e meridionali, che svilupparono, seppur in modi esclusivi, in maniera più o meno marcata, forme di chiavi e serrature baroccheggianti, in Italia continuò a sopravvivere una lavorazione del ferro a schemi e strutture classicheggianti. Consolidandosi, col passare dei secoli, l’abitudine di numerosi scambi culturali, economici e artistici fra i vari comuni, principati o regioni d’Italia, le forme delle chiavi e serrature acquisirono man mano forme e disegni comuni su tutto il territorio nazionale.
Il patrimonio artistico italiano, molto ricco in ogni campo, non realizzò nel ferro battuto lavori di vasta mole e qualità da confrontare con quelli francesi, tedeschi e spagnoli. Ciò non per incapacità creativa o per scarso interesse dei nostri maestri artigiani fabbrili, ma a causa di una diversa concezione dell’estetica e delle tecniche costruttive.
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