Le chiavi in Lombardia
Fonte: Testi e immagini nella forma integrale sono pubblicati sul libro “Le antiche chiavi, tecnica, arte e simbologia” di Roberto Borali, Burgo editore 1993.
La diffusione sul mercato nazionale ed europeo degli oggetti in ferro di uso comune prodotti in Lombardia a partire dal XIV secolo non fu inferiore a quella di nessun’ altra regione d’Italia. La forgiatura e la vendita dei manufatti dell’arte fabbrile costituì una delle voci, qualitativamente e quantitativamente, più importanti della bilancia commerciale lombarda dei secoli XIV e XV, grazie soprattutto all’originalità, al buon gusto e alle qualità tecniche dei manufatti.
Nelle valli bresciane (Camonica, Trompia e Sabbia), favorite oltre che dalla presenza del ferro, da quella di abbondante legno e acqua, indispensabili per il funzionamento degli altiforni, si estraeva e fondeva il ferro in miniere sfruttate sia dagli Etruschi prima, sia dai Romani poi. L’arte fabbrile bresciana ebbe un notevole sviluppo sotto il dominio della Repubblica veneta (1426) alla quale per circa quattro secoli fornì ferro greggio, armi e ferramenta di ogni specie.
La Val Trompia, fra tutte le valli bresciane, è senz’altro quella che maggiormente si distinse per la produzione di manufatti in ferro di grande qualità. Nelle valli bergamasche (Brembana, Seriana e di Scalve) si lavorò ugualmente il ferro da sempre. Già nel XVI secolo esistevano nell’alta val Seriana altiforni per la fusione del minerale di ferro, in grado di funzionare continuativamente per un anno intero.
Chiave da mobile. Brescia, XVI secolo. Impugnatura ovale, traforata a disegno floreale, base con modanature, canna liscia, pettine rettangolare con intagli a croce e fronte sporgente. Incisioni a bulino all’inizio e alla fine della canna. Lunghezza 12 centimetri.
Il tipo di architettura e le tecniche adottate erano talmente sofisticate che gli artigiani bergamaschi furono richiesti un po’ ovunque in Europa per la costruzione degli altiforni. Intorno all’anno 1000 la città di Bergamo era famosa in Europa per l’ antica fiera che si teneva nell’attuale area denominata sentierone dove si commercializzavano lana, seta e soprattutto prodotti di ferro lavorato. La magnifica fabbrica di Bergamo, così veniva chiamata questa istituzione commerciale, conobbe grande splendore fino alla metà dell’ 800.
Chiavi da mobile. Lombardia XVII secolo. (immagine di copertina) La forma delle impugnature è quella tipica delle chiavi lombarde rinascimentali di uso comune. Lunghezza media 14 centimetri.
Agli inizi del XVI secolo, nella sola Valgoglio, una piccola valle laterale della valle Seriana, si contavano più di trenta fucine per la produzione di manufatti in ferro. Nell’alta valle Seriana furono eseguiti manufatti in acciaio che per la qualità del materiale usato e per ricchezza di lavorazioni a cesello e ageminature gareggiavano con i migliori in Europa.
Gromo e Gandellino, paesi dell’alta valle Seriana, furono famosi per la particolare tecnica dell’azzurratura. Questa tecnica, simile a quella del rinvenimento, consiste nel riscaldare un pezzo di ferro acciaioso alla temperatura di circa 300-320 gradi. A tale temperatura il ferro assume una colorazione bluastra, che mantiene se lo si raffredda repentinamente.
Chiave da portone. Lombardia XVIII secolo. Rara per le notevoli dimensioni e per l’accuratezza della forgiatura. Impugnatura ovale con sfaccettature, base conica modanata, canna liscia, pettine ritorto con spessori in rilievo e intagli diritti. Lunghezza 27 centimetri.
L’abilità dei maestri artigiani milanesi nel cesellare e nello scolpire il ferro, pur salvaguardando la praticità d’uso del prodotto finito, fu tale durante il rinascimento, che la loro fama si sparse oltre che nelle molte città del vasto territorio sforzesco, al di là dei confini nazionali. La laboriosità e l’inventiva, unite al gusto per le cose belle dei maestri milanesi, portarono a una produzione di chiavi e serrature di particolare bellezza. Costruirono chiavi, di uso comune, con l’impugnatura bilobata, ovale e a goccia rovesciata e, per quelle più importanti, impugnature composte da cariatidi o dalla forma zoomorfa. Le forme delle chiavi e delle serrature in Lombardia, a parte una produzione locale di gusto assai piacevole tipica di quasi ogni paese, ricalcano la tipologia di quelle delle città capoluogo a cui furono soggette: Milano con gli Sforza prima, e Venezia con la Repubblica veneta poi.
Nella Certosa di Pavia si possono ammirare alcune opere di Francesco Villa, Ambrogio Scagnio e Pierpaolo Ripa (1660), abili maestri artigiani dell’arte fabbrile. Uno dei più noti artefici milanesi del ferro nei primi trenta anni del secolo fu Alessandro Mazzucotelli (Lodi 1865-Milano 1938). Attivo soprattutto in Lombardia con una fiorente scuola: a lui e ai suoi allievi si devono gran parte dei manufatti in ferro dei palazzi milanesi e delle ville lombarde dell’epoca.
Serratura con chiave. Milano XVII secolo. Opere fabbrili di così alta qualità artistica fanno onore non solo all’ignoto artefice milanese, ma a tutto il comparto dell’arte fabbrile italiana. L’impressione evidente che si ha è che l’autore non abbia voluto solo costruire un attrezzo d’uso, ma un’opera d’arte che rimanesse a testimoniare il gusto e la maestria artistica del fabbro. Ogni componente è decorato magistralmente usando tecniche diverse: forgiatura, sagomatura, traforo, scolpitura e incisione. La chiave è un’opera d’arte, degno complemento della serratura. Dimensioni della serratura 25 x 20 centimetri, lunghezza della chiave 15 centimetri.