Le facciate dipinte di Acqui Terme
Confronto tra procedure esecutive passate e recenti: dalle facciate a calce a quelle ai silicati
Nell’Ottocento la tecnica pittorica impiegata per la quasi totalità delle facciate acquesi è stata quella della tinta a calce, in parte ancora oggi sopravvissuta su quelle poche che, dilavate e sbiadite, non sono ancora state oggetto di recupero. L introduzione sul mercato di nuovi sistemi pittorici, alternativi a quelli tradizionali, ha contribuito al radicale cambiamento d immagine dei tanti centri storici del nostro Paese, nei quali l’aspetto originario è andato così, irrimediabilmente, perduto.
Nel caso specifico il richiamo, nell’Ordinanza di avvio lavori, all’impiego di materiali a base di silicati per la tinteggiatura esterna delle facciate, chiarifica in che modo, in Acqui, la consolidata tradizione pittorica a calce sia stata abbandonata. La questione merita un approfondimento dal momento che, negli ultimi anni, l’ impiego generalizzato e diffuso di tecniche sempre più moderne ha condotto verso nuove problematiche, relative alla precoce deperibilità delle superfici di finitura e alla limitata intonazione cromatica delle nuove tinte. (Nota 9)
«Per comporre la tinta a calce, nella mescolanza di calce e colori, basta unire la sola acqua semprechè si osservi che questa sia purissima». (Nota 10)
Nota 9: P. Scarzella, P. Natale, Terre coloranti naturali e tinte naturali a base di terra, Stamperia Artistica Nazionale, Torino, 1989, Appendice Nota 10: D. Frazzoni, L imbianchino, decoratore-stuccatore, Hoepli, Milano, 1911 (ristampa VIII ed. 1981), pag. 19 |
La tinta a base di calce è costituita dalla mescolanza di calce aerea ben stagionata, pigmenti naturali ed acqua priva di ogni impurità di tipo organico, che potrebbe provocare incompattezza delle tinte e loro conseguente alterazione. Generalmente, la dispersione delle terre coloranti e del latte di calce viene additivata dall’aggiunta di caseina o latte scremato, al fine di migliorare le caratteristiche di resistenza della tinta ai fenomeni di sfregamento e dilavamento.
Il supporto più idoneo per questo tipo di tecnica è un intonaco a base di calce aerea, ma anche su intonaci idraulici la tenuta del tinteggio ha dimostrato d essere sufficientemente buona; non adatti, invece, si sono rivelati tutti i supporti cementizi.
Il clima freddo ed umido incide sfavorevolmente sulla stesura della tinta a calce che appare come bagnata o appena stesa. Questa, non riuscendo a penetrare nei fori superficiali, crea una sottile crosta indipendente e poco aderente. La situazione non migliora neppure con l’avvento della bella stagione per il fatto che la superficie risulta scarsamente assorbente, in questo caso ogni ulteriore sovrapposizione di strati di tinta provoca lo scrostramento. Sole e vento, invece, favoriscono l’uniformità della tinta stesa a calce, che riesce velocemente ad asciugare, anche se il caldo eccessivo contribuisce allo scrostamento degli strati sovrabbondanti, nei quali la tinta, asciugata troppo celermente, non riesce più a raggiungere il livello superficiale. ( Nota 11: D. Frazzoni, op. cit., pp. 25-26)
Palazzo Lupi poi Levi, particolare del fregio del prospetto laterale: prima e dopo l’ultimo intervento di ristrutturazione edilizia
I principali difetti di questa tecnica sono legati alla sua scarsa resistenza all’azione di dilavamento dell’acqua e al contatto. Questa pittura fa pochissima presa poiché l’azione dell’aria, che trasforma la calce in bicarbonato di calcio, è minima. A ciò si aggiunga l’incidenza dell’inquinamento atmosferico sulle superfici trattate a calce che, in breve tempo, tende a formare sull’intonaco colature di colore scuro, derivate dal trascinamento da parte dell’acqua piovana della polvere depositata. Tali colature, non lavabili, contribuiscono al deterioramento della tinta originaria. (Nota 12: G. Forti, Antiche ricette di pittura murale, Cierre Edizioni, Verona, 1989, pag. 168)
Al contrario, le principali caratteristiche vanno, anzitutto, rintracciate nella possibilità di ottenere una vasta gamma cromatica, grazie all’uso di pigmenti naturali, stemperati in acqua e miscelati al latte di calce, precedentemente filtrato. Inoltre, ogni facciata a calce è contraddistinta da una notevole trasparenza, garantita da un trattamento preliminare cui è sottoposto l’ intonaco: la stesura di un velo di latte di calce, che forma la cosiddetta imprimitura e, successivamente, di due o tre mani di tinta alquanto diluita.
Rispetto alla situazione attuale, le facciate realizzate con tinteggiatura a calce hanno dimostrato di avere, nel tempo, una buona durata e, in molti casi, il loro invecchiamento nobile ha permesso di rintracciare sia i colori che gli impianti decorativi originari, in particolare laddove riparati dall’aggetto di cornicioni o balconi.
«Il silicato di potassa o quello di soda possono servire per le tinte, perché si equivalgono purché siano neutri, non alcali, non lattei [_]. La tinteggiatura a base di silicato è molto utile pei luoghi interni ed esterni, poiché, anche bagnandosi, non si macchia né si asporta facilmente [_], ma presenta qualche difficoltà per la compattezza nelle tinte a intonazioni forti». (Nota 13: D. Frazzoni, op.cit., pp. 51-52)
La pittura al silicato si ottiene con i silicati di sodio e potassio, sali neutri non alcalini né lattei, utilizzati come fissativi o diluenti di colore. Sua caratteristica è di plasmarsi completamente con lo strato d intonaco sulla quale è stesa, creando una pellicola vetrosa non indipendente. Per questo motivo questa tecnica viene spesso associata a quella, ben più antica, dell’affresco, rispetto la quale si differenzia per il fatto d essere una pittura secca, stesa, cioè, su di un intonaco asciutto e non bagnato (come nel caso dell’affresco).
I colori diluibili col silicato devono essere con esso compatibili e sono gli stessi dell’affresco, tranne il bianco. Il bianco non può essere la calce poiché questa, essendo caustica, tenderebbe a rendere latteo e non solubile il silicato stesso. In alternativa possono essere impiegati il bianco di zinco, il bianco Meudon, quello di Spagna e di Champagne. (Nota 14: G. Forti, op.cit., pp. 106-119)
Tutti i supporti sono idonei per essere trattati a silicato, sia quelli tradizionali che quelli cementizi, anche se la superficie migliore resta proprio quella composta di malta di cemento e sabbia sufficientemente grossa: per la presenza, nel cemento, della silice che ben si unisce al silicato e perché la grana grossa dell’inerte garantisce alla pittura di penetrare nell’intonaco, formando un unica massa omogenea. (Nota 15)
Non adeguati risultano, invece, tutti quelli che sono già stati trattati con tinte a base di olio, smalti o vernici, sui quali il silicato tende, sfogliandosi, a cadere.
Per la stesura esterna del silicato la stagione migliore è l’autunno, specie quando le giornate sono coperte, umide e ventilate; la primavera va evitata poiché la muratura, avendo inglobato umidità durante l’inverno, al primo calore si asciuga e trascina in superficie i sali igroscopici che si manifestano sotto forma di efflorescenze. (Nota 16)
Nota 15:Purtroppo l’uso della malta cementizia non è indicato per le murature di tipo tradizionale, quelle cioè costituite da pietre e mattoni legati con malta di calce Nota 16: Ivi pag. 113 |
L aria e il sole danneggiano questa pittura poiché ne accelerano l’asciugamento, impedendo la penetrazione della tinta in superficie, in questo modo i toni e i colori restano quelli di quando è stata applicata; per ovviare a questo inconveniente è doveroso bagnare abbondantemente la superficie stessa.
Una volta cominciata, la stesura del silicato va ultimata nelle stesse condizioni, di clima e calore con le quali è stata iniziata. (Nota 17: D. Frazzoni, op. cit., pp. 55-56)
Il principale difetto di questa tecnica pittorica è dovuto alla scarsa capacità di amalgamarsi della tinta, specie in casi di forti tonalità, al punto che è possibile leggere chiaramente la sovrapposizione delle pennellate anche quando si tratta dello stesso colore. Inoltre, se il colore steso è troppo denso o pastoso, possono crearsi sul muro zone di ritiro che, a seguito dell’asciugamento, portano a crepe e distacchi superficiali.
Lo spessore del materiale incide negativamente anche a livello estetico. La facciata risulta infatti molto appesantita, inserendosi a fatica nel contesto urbano. Questa difficoltà d armonizzarsi con l’insieme è dovuta anche al persistere, inalterati nel tempo, dei toni di certi colori presenti sulle facciate. A proposito dei colori, è bene notare che quelli ottenuti con i silicati risultano apparentemente simili a quelli delle tecniche tradizionali, mentre in realtà si differenziano per resa ed impatto globale.
A favore di questa tecnica esecutiva esistono, comunque, diversi aspetti come la buona adattabilità a qualunque tipo di superficie, l’ottima resistenza all’azione degli agenti atmosferici (se eseguita nel rispetto delle sue caratteristiche applicative) e la reazione all’umidità, presente nelle murature e simile a quella dei sistemi tradizionali.
Il confronto tra questi due procedimenti operativi dimostra che la scelta, ormai sempre più frequente, dei silicati, o di altri materiali ancora più recenti (come nel caso dei polimeri silossanici caratterizzati anch’essi da un elevata traspirabilità ed impermeabilità), in luogo della tecnica a calce è dettata, soprattutto, dalle esigenze di imprese e maestranze. Sono infatti proprio queste ad avere opposto una forte resistenza all’impiego dei sistemi tradizionali, preferendo materiali subito pronti all’uso e di veloce posa in opera. A ciò si unisca la difficoltà applicativa della tecnica a calce che, soprattutto nella preparazione delle tinte, richiede operatori decisamente qualificati. (Nota 18: AA.VV., Il colore. Il metodo, le tecniche, i materiali, Ed. Panini, Modena, 1985, pp. 24-28)