Materiali usati in ebanisteria
Nel corso dei secoli si sono impiegati i materiali usati in ebanisteria dei più vari, secondo le zone di produzione e della facilità di reperibilità degli stessi.
Fonte: Queste schede tecniche d’antiquariato sono state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro, con la collaborazione della moglie Mara Bortolotto, per la rubrica mensile edita sulla rivista “L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non riportate. |
La continua ricerca d’effetti vari e preziosi portò fin dall’antichità all’utilizzo contemporaneo di materiali usati in ebanisteria differenti per qualità e natura, associando sostanze minerali, vegetali e prodotti dell’industria. Prima della scoperta dell’America e delle grandi esplorazioni geografiche, fino al Cinquecento, s’impiegano tutte le varietà di legni locali e quelli esotici provenienti dall’Africa e dal vicino ed estremo oriente.
Nonché sostanze animali e manufatti colà reperibili. Come per esempio: avorio, ebano, tartaruga, porcellane cinesi, smalti orientali, lacche giapponesi, ecc. per cui l’uso di materiali provenienti dalle Americhe sposta necessariamente la datazione a dopo il Quattrocento.
Dal Settecento si afferma sempre più l’uso del mogano. Bisogna precisare che, per una committenza ricca ed esigente aggiornata ed alla moda, gli ebanisti utilizzano (come indica il nome stesso) principalmente legni esotici impiallacciati quali:
- amaranto dalla Guiana, colore rosso-viola con molte venature chiare, invecchiato diviene bruno scuro, compatto utilizzato in lastronature e per cornici, raramente in massello, usatissimo ad esempio negl’intarsi Carlo X;
- amboina dalle Molucche, colore chiaro, si utilizza soprattutto la radica in lastronature dall’ultimo quarto del Settecento;
- bois de rose dal Brasile, colore di fondo rosa-giallastro con venature verticali rosa scuro, invecchiando diventa rosa ambrato, durante il taglio emette il profumo della rosa, da cui il nome; usato per l’intarsio dal 1745, raramente per l’impiallacciatura, oggi n’è vietato l’utilizzo e la detenzione con obbligo di denuncia delle scorte, essendo considerato tra le specie in via d’estinzione (ciò non riguarda gli arredi d’antiquariato);
- bois de violette dal Brasile, colore viola bruno chiaro con striature scure ben definite, utilizzato in lastronature dal Seicento a tutto il Settecento, era il legno esotico meno caro;
- cedro dal Libano e dalle Americhe, usato nel Seicento per gli interni dei cassetti e per interi arredi;
- ebano dal Madacascar e dalle Indie, colore nero con venature bianche, compatto, più pesante dell’acqua, utilizzato in lastronature ed in massello per l’intaglio dal Seicento;
- legno corallo dalle isole del Vento, dall’Africa e dall’Asia occidentale, colore rosso intenso scuro, utilizzato in lastronature e durante Il Seicento una sua varietà il Padouk per interni preziosi;
- legno satinato da Santo Domingo e dalla Guaina, colore brillante ce ne sono di due tipi il rosso (rosso-bruno) e lo striato (più chiaro e dorato), usato in lastronature dal Seicento conosce la massima diffusione alla metà del XVIII° secolo.
- limone dalle Antille, giallo chiaro con venature diverse a seconda del taglio, usato dal 1780;
- mogano dalle Antille e da Cuba, colore variante dal rosso-ciliegio scuro al ciliegio-arancio chiaro, utilizzato in lastronature ed in massello dalla metà del Settecento.
- palissandro dalle Indie, dal Madacascar e dal Brasile, n’esistono di diversi tipi varianti di colore dal bruno scuro quasi nero al viola chiaro, utilizzato in lastronature ed in massello;
- sandalo dalle Indie, colore bruno medio, profumato, utilizzato in lastronature ed in massello, ad esempio il grande ebanista Bernard Molitor lo impiegò per l’interno dei cassetti;
- Thuya, parecchie specie tutte esotiche, coltivata recentemente in Europa come pianta ornamentale, colore che si avvicina al mogano e di aspetto simile all’amboina ma con più nodi e buchi, utilizzato in lastronature dall’ultimo quarto del Settecento;
- ulivo dalla Siria, colore camoscio tendente al verdastro, con marcate venature verticali, utilizzato in lastronature;
- Ed impiallacciature d’essenze locali di qualità. I legni si presentano con aspetti diversi secondo le modalità del taglio o della parte del tronco cui appartengono.
- Le radiche, provenienti dalla parte bassa del tronco prossima alle radici; tipico esempio quella di noce.
- I noduli ed i nocchi, provenienti dalle escrescenze del tronco di certi alberi, prodotti da ferite o da funghi; tipico esempio quelli dell’olmo.
- I rigatini, quando il tronco è segato in quarti ed il legno appare diviso regolarmente in venature di colore più scuro parallele molto accostate; tipico esempio quelli di noce e d’ulivo.
- I moirés, quando le fibre orientate in diverse direzioni assumono un aspetto cangiante. I mouchetés, quando la superficie è densamente cosparsa di piccoli nodi; tipico esempio quella d’acero.
- I pommelés, tipico esempio quando il mogano riflette piccole forme rotonde una vicina all’altra.
Ed ancora possono apparire, secondo il disegno: ondulate, drappeggiate, marmorizzate, satinate, ecc.
Mentre i falegnami usano legni locali prevalentemente in massello, più a buon mercato, spesso provenienti da proprietà dello stesso più modesto committente, per produzioni correnti. Ciò principalmente dalla seconda metà del 600 in poi.
Il legno può essere anche tinto, ma ricordiamo che la tavolozza dei colori fino alla metà del secolo XIX°, quando furono scoperti i colori chimici nel 1859 daWilliam Perkin che perfezionò la tintura all’anilina, era forzatamente limitata dagli alti costi dei pigmenti e degli estratti naturali. Ovviamente la presenza di tali tinture chimiche segnala l’intervento di un restauro o la produzione del manufatto stesso dopo la metà dell’Ottocento.
Per la lastronatura e l’intarsio si utilizzarono con una certa frequenza anche i seguenti materiali.
- La tartaruga è ottenuta dalle placche che formano la corazza della tartaruga di mare. Le più impiegate sono fornite dalle specie chiamate: Caretta (Eretmochelys Imbricata), con placche giallastre, marmorizzate o macchiate in bruno scuro; Chilone mydas, come la precedente ma presenta riflessi verdastri; e la Caretta comune, meno impiegata perché benché presenti placche più ampie, esse sono più sottili e fragili. La parte superiore, detta scudo, si compone di tredici placche unite e saldate fra loro accostate o sovrapposte come le tegole di un tetto. Quell’inferiore, detta piastrone, di diciotto (la Caretta) e venti (la Chilone Mydas) saldate accostate. Lo spessore è tra i due ed i cinque millimetri per quelle dorsali, ed in proporzione di un terzo per quelle addominali; quest’ultimo sono le più ricercate per la maggiore varietà di colorazione. Tali placche hanno un’estensione limitata e non sono di forma geometrica, per questo l’utilizzo in superfici troppo estese ed i raccordi geometrici sono un sicuro indizio d’uso di materiali sostitutivi meno preziosi.
- La madreperla è ottenuta dal guscio d’alcune conchiglie, tra cui le principali varietà utilizzate sono: la “trocas”, di forma conica proveniente dalle Filippine, dalle isole Andaman e dall’Indonesia. La madreperla di Ceylon. Quella “goldfisch”, del Giappone a forma d’orecchia. La madreperla nera della California, chiamata anche di Traiti e proveniente dalla Polinesia francese, di forma piana. Il casco rosso, proveniente dalle Filippine e dall’Indonesia. La madreperla bianca “Borgeau”, che si pesca nelle isole del Madagascar, del continente americano, di Singapore; quella della Malesia può diventare grossa come un pallone. Quella del Missisipi, della forma di una cozza grossa come una mano.La madreperla può essere colorata nello spessore e segata in placche da mezzo ad un millimetro circa di spessore e di superficie variabile. Anche in questo caso vale quanto detto sulle dimensioni e la forma per la tartaruga.
- Il corno, proviene dai bovini e dai cervidi, è di colore bianco o bianco-giallastro o nero come quello dei bufali. Il più impiegato è quello di bue, anche se è migliore quello di vacca. Il corno come la tartaruga si rammollisce e si può saldare a caldo.
- L’avorio, ottenuto dalle zanne dell’elefante, è di differenti qualità, a seconda che provenga da: Guinea, biondo un po’ trasparente, duro e pesante, a grana fine; è considerato il migliore. Niger, Kenia, Zanzibar e Manganica, dolce e color panna. Angola, Camerum e Gabon; duro e rosato. Sudan; grigio, dolce e semidolce; quello della Costa d’Avorio è simile, ma di qualità inferiore. Mozambico; grigio e dolce.Si usa anche quello dei denti d’ippopotamo, che e di qualità superiore. L’avorio può essere lavorato come il legno e si può anche sbiancarlo e stirarlo a caldo. Bisogna prestare attenzione che fin dall’Ottocento si sono usati materiali imitanti l’avorio a base di resine e polveri, alcuni di difficile identificazione; un sistema empirico consiste nel toccare una parte non in vista con un ferro incandescente e valutare l’odore che si genera.
E per l’intarsio si usano anche metalli come: il rame, lo stagno e l’ottone. Per ottenere una migliore adesione è necessario strofinare i metalli con uno spicchio d’aglio ed anche bollirne un paio nella colla; ciò ne impedisce più a lungo l’ossidazione, che è una delle principali cause di distacco.