Pieve di S. Vito: La storia
Pieve di San Vito a Morsasco
Indagine storica (II)
Nel corso del XVII secolo, il Monferrato è uno dei più animati teatri delle lotte tra Spagna e Francia per il predominio della penisola italiana. Morsasco assiste al passaggio e, sempre più spesso, all’acquartieramento delle truppe straniere, la cui stanziale presenza provoca carestie, distruzioni ed epidemie, come testimoniano sia i libri parrocchiali che i verbali del consiglio comunale. In anni tanto bellicosi la chiesa “parrocchiale antica” di San Vito rimane abbandonata a se stessa: gli inviti dei vari visitatori apostolici a provvedere al suo ripristino sono puntualmente disattesi e, già nell’aprile 1600, l’edificio è definito “minacciante ruina”. La porta d’ingresso principale è priva di serratura e l’altare è privo di arredi, ma sono il tetto e il pavimento a soffrire i guasti maggiori, e non solo a causa delle cattive condizioni meteorologiche. A partire da questa data, infatti, è attestata la presenza di un cimitero contiguo alla chiesa di San Vito, anch’esso, però, in pessime condizioni: le ripetute visite del vescovo non mancano di sottolineare come la cattiva manutenzione del piccolo sepolcreto sia pericolosa non solo per uomini e animali, ma per la stessa costruzione. Nel 1610 è documentata una parziale ristrutturazione: la “chiesa s’è restaurata nelle mure fenestre e parte pavimento porta conforme”, ed è stata realizzata un’adeguata recinzione del cimitero, con cancello e “fossa attorno tanto grande che le bestie non vi possino entrare”. Ma la soluzione è affatto temporanea perché, durante gli anni della terribile epidemia di peste nera, i decessi in Morsasco aumentano al punto che l’antico cimitero non può più contenere i defunti, che devono essere seppelliti fuori e dentro l’antica parrocchiale. Gli scavi continui, gli interramenti e gli sterri ripetuti sia all’interno che all’esterno della costruzione, assieme al pessimo stato di conservazione delle murature, la rendono sempre più pericolante. Nel 1660, sono presenti “alcune fissure nel frontespicio”; nel 1676, la chiesa è ridotta al solo uso cimiteriale; nel 1688, San Vito è “chiesa vecchia mal nell’ordine”: il tetto è prossimo alla rovina e presso lo scalino dell’altare sono visibili “quattro fosse di morti”. In breve, la situazione è tale da costringere il visitatore apostolico a vietarvi la celebrazione delle messe sinché non venga “aggiustata, e provista”.
Si è visto come l’interesse delle autorità ecclesiastiche nei confronti della piccola costruzione sia continuamente ribadito per tutto il corso del Seicento. Il suo stato di conservazione desta preoccupazione non solo perché dipende praticamente dalla generosità dei fedeli, ma anche perché la chiesetta è meta delle principali processioni religiose che si svolgono annualmente nel paese. Le fonti d’archivio illustrano spesso queste cerimonie locali, durante le quali la sacra reliquia di San Vito, custodita ancor oggi nella parrocchiale di San Bartolomeo Apostolo, viene portata in processione sino all’omonima chiesa, dove viene solennemente officiata la messa. In più casi si accenna alla “divotione particolare” di cui è oggetto l’edificio da parte della popolazione di Morsasco, sia per il culto del santo patrono che per la sacralità conferitagli dal vicino cimitero. Per tutte queste motivazioni, il fatto che la chiesa di San Vito resti abbandonata a se stessa, fatiscente, “senza volta e senza suolo”, sprovvista degli arredi idonei alla celebrazione liturgica risulta oramai intollerabile alla stessa comunità morsaschese.
D’altro canto, gli anni Novanta del XVII secolo sono ancora anni di disordini e di battaglie per il territorio di Morsasco, almeno sino al 1697, quando si conclude un armistizio tra la Francia e gli stati coalizzati attorno alla Lega di Augusta. Per il paese significa soprattutto la tanto sospirata partenza degli “Alemanni”, che la cittadinanza aveva dovuto ospitare per decenni. La pace durerà poco, in realtà, ma è probabile che proprio durante questa calma passeggera vengano cominciati i primi lavori di risistemazione della chiesa di San Vito.
Nel libro dei Convocati e Congregati di Morsasco, alla data del 30 maggio 1699, troviamo la decisione di destinare 80 fiorini dell’imposta camerale in favore della chiesa campestre: la somma non è modesta, per il tempo, e potrebbe far pensare ad un intervento di ristrutturazione non esteso ma sicuramente consistente.
A tale proposito, è possibile addurre alcune ipotesi.
La prima di queste si basa sul rinvenimento di un secondo atto, datato 10 giugno 1706, relativo all’acquisto, per la cifra di 40 fiorini, di “duecento coppi per il tetto del portico della chiesa di San Vito”. Ora, poiché il numero dei coppi appare del tutto insufficiente per la copertura del portico intero, di cui questa è, per altro, la prima menzione documentata, è probabile che si tratti di un intervento di semplice risanamento del tetto. Non è da escludersi, pertanto, che anche gli 80 fiorini del 1699 fossero motivati da una necessità dello stesso genere e che l’effettiva costruzione del pronao risalga ad un’epoca precedente (è difficile credere che simile somma riuscisse a coprire le spese di edificazione di un portico e che simile intervento non fosse meglio specificato e discusso nella delibera consigliare). |
Un’altra indicazione utile per capire di che tipo di intervento si sia trattato proviene poi dalla relazione della visita apostolica effettuata, nell’agosto dello stesso anno 1699, da monsignor Gozani. Il vescovo visita per la terza volta l’edificio ma non riferisce di nessun intervento edilizio di riguardo, invitando anzi il rappresentante comunale a “fare ogni possibile [e] provedere che detta chiesa si reduchi a meglior stato”. Ora, dato che undici anni prima lo stesso ecclesiastico aveva dovuto vietare l’accesso alla cappella di San Vito (1688), e considerato che in quest’ultimo rapporto afferma che “se li va molte volte a dir messa” e che vi “si fa festa il giorno di detto santo”, potrebbe anche darsi che la spesa effettuata dalla comunità pochi mesi prima sia stata impiegata per rendere quanto meno fruibile, se non per risanare, l’antico edificio religioso.
Nonostante l’assenza di indicazioni cronologiche più precise, il ritrovamento dei suddetti atti d’archivio consente di stabilire che, attorno alla fine del XVII secolo, la chiesa di San Vito assume definitivamente le dimensioni che ha oggi.
L’erezione del portico voltato comporta il rifacimento della facciata, le cui aperture vengono modificate in modo da adeguarsi al nuovo aspetto. L’altezza del prospetto esterno viene infatti ridotta, il che giustifica la tamponatura della finestra centrale a mezza luna, riaperta qualche centimetro più in basso e con un leggero spostamento verso destra. Analogamente, le due finestrelle laterali sono murate e quindi reinserite più o meno simmetricamente ai lati della porta principale. Per quanto riguarda, invece, l’incatenamento metallico del portico, non è possibile dire con assoluta certezza se esso sia stato messo in opera contestualmente ai lavori di realizzazione della struttura o in seguito. La disposizione abbastanza regolare in senso verticale dei bolzoni capochiave, e particolarmente di quelli relativi alla catena interna, fa però propendere per la prima ipotesi. |