Madonna di Montevergine
Il dipinto di Montevergine a “Curto”
Il dipinto “Madonna di Montevergine” ( immagine di copertina: Madonna di Montevergine a “Curto” restaurata ) è una tela della fine dell’ottocento, (La data si legge a malapena in basso a destra) un tempo era collocato nella Pieve della famiglia Gisonti a “Curto” nei pressi di Frasso Telesino (BN). L’ immagine, rappresentata nel dipinto, è ormai nota, ai frassesi, poiché è stata pubblicata a colori nel N. 4 di Moifà, per far pervenire “ai carissimi compaesani ed agli affezionati lettori del giornale” gli auguri di un sereno Natale da parte di Don Valentino e dalla redazione del periodico.
L’ esecutore del dipinto doveva essere uno dei tanti “madonnari” napoletani che riproducevano, su tele, immagini religiose, note o meno note, prive di telaio, comode da arrotolare e da trasportare facilmente.
Il “madonnaro”, che ha l’incarico di copiare l’immagine della Madonna del Santuario di Montevergine di Avellino, interpreta l’icona con un autonoma sensibilità e differente esecuzione, le sue pennellate sono veloci, date direttamente sulla stoffa, priva di preparazione. Il pittore, per sopperire allo splendore degli ori della pala bizantina, sfoggia un luminoso cromatismo e dove non riesce a sostituire il prezioso metallo, come nel trono regale o negli ornamenti, lo surroga con il più economo colore di porporina. Il pittore ripropone e aggiorna lo schema iconografico della madonna bizantina detto Odighitria, venerata a Costantinopoli nella chiesa degli Odeghi, a cui si rifà la pala d altare del Santuario della Madonna di Montevergine ad Avellino.
Il rapporto tra la base e l’altezza, nella tavola avellinese è tendente al verticalismo (m. 4,30 x m. 2,10) l’immagine della Madonna, seduta in trono, è sottile e allungata, ieratica e imperscrutabile, i lati della tela frassese, (La superficie della tela è in relazione allo spazio disponibile nella Pieve “a curto”) invece, sono più equilibrati (m.160 X m. 190) e la Madonna è più sobria e misurata nella sua luminosa regalità, anche se paludata d abbondanti ornamenti.
Gli ornamenti sono eccessivi e grossolani sia nella madre e sia nel Bambino: smaglianti pettorali, collane ricchissime, pendagli d ogni genere, appariscenti e pesanti corone che qualsiasi testa di comune mortale non riuscirebbe a sostenere. Questi ornamenti sono assenti nella pala di Montevergine (Avellino), tranne le aureole metalliche e una modesta corona sulla testa della Madonna, contornata di fiori e gemme, messi in luce nell’ultimo restauro.
L’ artista, dunque, pur mantenendo l’impianto compositivo bizantino delle “Madonne” dette anche “di S. Luca”, dipinge la tela con libertà, toglie o aggiunge elementi, forse anche per richiesta dei committenti.
Il colore della tela di Frasso sembra quello di un pittore primitivo contemporaneo: le mani e i volti sono di grigio rosato, la veste del Bambino è di rosa antico e i due angeli turiferari, gli unici della tela (Nella pala avellinese gli angeli sono sei.), posti sopra lo schienale del trono, hanno anch’essi toni smaglianti nelle vesti, nelle ali e nell’incarnato.
L’ angelo di sinistra ha il vestito di tono azzurro, quello di destra ha la veste di rosso cinabro, entrambi contrastano con i due globi che hanno accanto, l’uno arancione e l’altro celeste, simboli del sole e della luna. Lo stesso manto della Madonna si differenzia da quello della pala avellinese, qui i riflessi non sono evidenziati da solchi dorati bensì sono riverberi di luce che vanno dall’oltremare al blu di Prussia sino agli smeraldi dei fondali marini.
La Madonna di Montevergine è perciò opera unica che ritorna, dopo un delicato intervento di restauro, a Frasso Telesino.
Il recupero della tela
La tela era stata arrotolata (La tela è stata tolta dai proprietari dal muro della Pieve, quando hanno venduto la loro proprietà terriera, compresa la chiesina in località Curto) intorno ad un cilindro di cartone di quattro centimetri di diametro, inadatto alla conservazione di un qualsiasi dipinto su stoffa, a maggior ragione per una pittura su una tela sottile del tipo “tarlatana”, priva di un minimo di preparazione o d imprimitura.
La tela, quando è stata srotolata per il restauro, si è quasi completamente distaccata la pellicola cromatica, frammentandosi in minute scaglie. Per recuperare i frammenti cromatici, è stata impiegata una tecnica accurata, “da certosino”, con la quale si è potuto collocare, in sede, anche il più piccolo pezzo. La tela era interamente frastagliata lungo il perimetro per consunzione della materia e presentava, in un ampia superficie di colore (lato sinistra del trono), dei rigonfiamenti da calore, causati dalla fiamma delle candele. I materiali impiegati per il restauro sono tutti reversibili e le integrazioni sono ad Acquerello, di sottile spessore poste a quota inferiore rispetto alla superficie originale. Il dipinto è stato rifoderato su tela di canapa e lino con collapasta e teso su un telaio ligneo ad estensione. Il lavoro è durato circa un anno.