Sculture policrome in Toscana
Fonte: Sculture policrome nella toscana del Quattrocento di Michelucci Sara
Foto di copertina: Cristo ligneo chiesa di Santo Spirito in Firenze – Michelangelo
Le opere della scultura in legno sono generalmente poco conosciute e poco studiate fra noi.
“I prodotti di questo ramo dell’arte che si trovano esposti nei musei dell’Italia e delle altre nazioni portano nella maggior parte dei casi indicazioni vaghe e indeterminate, spesso non esatte del secolo o tutt’al più della scuola a cui appartennero. Altre opere di minore interesse giacciono ancora ignorate in molte chiese di villaggi solitari rese non di rado irriconoscibili, anche all’occhio dell’esperto studioso, perché trasfigurate da malaugurati restauri, o ricoperte di ricchi paramenti e di doni votivi offerti dalla reverente pietà dei fedeli“.
Un’arte poco valutata
Così nel 1904, Arnolfo Venturi apriva la sua rivista, dedicata ai prodotti di una tecnica che nell’Ottocento aveva trovato tra noi pochi indagatori, mentre altrove era da tempo studiata e ricercata: la scultura in legno.
Sebbene fosse stata una delle tecniche più antiche e significative della scultura Medievale, praticata non solo dai “rozzi pastori delle montagne” (Cicognara), ma dai massimi artisti ( Giovanni Pisano si dichiara “sculpens in petra, ligno, auro…” mettendo il legno a pari dignità della pietra e dell’oro),essa è stata spesso messa in secondo piano durante i secoli.
Alla quasi assoluta mancanza di referenze documentarie, uno dei maggiori ostacoli in cui si imbatte chi si accinge a studiare la scultura lignea consiste generalmente nell’estremo decentramento delle opere.
Il legno, materiale più povero e agevole a lavorarsi, veniva preferito dalle pievi e le parrocchie del contado, per realizzare le Sacre Immagini che sarebbero diventate oggetto di culto da parte della semplice gente dei campi.
La prima ragione del deterioramento subito dalla scultura lignea è in molti casi la perdita o il danno riportati dalla policromia. Infatti per la scultura lignea la decorazione pittorica era capitale, faceva parte dell’opera. I fumi e il calore di ceri e di candele, le intemperie furono causa di un costante degrado, tanto più grave in quanto il manto pittorico perdeva la sua smagliante bellezza. Ora il deteriorarsi della policromia e il mutare del gusto erano altrettante occasioni di devastanti interventi di ridipintura, ma è anche accaduto che non si sia più inteso il senso della policromia stessa e che si sia deliberatamente distrutto il velo cromatico che copriva le statue. Oggi molta strada è stata fatta, molte opere sono venute alla luce, certi problemi di metodo sono stati chiariti mentre altri restano ancora oscuri. La scultura lignea è in gran parte un patrimonio ancora nascosto dell’arte italiana.
Le immagini e l’arte
Nel presentare la scultura dipinta, in particolare quella quattrocentesca, ho ritenuto indispensabile soffermarmi a considerare la specifica funzionalità di queste immagini – i nessi intimi che le legano all’esperienza popolare del sacro come le varie tipologie di funzione liturgica, dal semplice stimolo al ricordo e alla pietà fino al coinvolgimento in rappresentazioni sacre. Ecco quindi alcune riflessioni sulla scultura dipinta nella storia e nelle fonti letterarie. Agli inizi del Duecento uno scrittore francese, Jean Bodel, scriveva un testo teatrale intitolato Jeu de Saint Nicolas. L opera tratta di un re pagano che strappa ad un povero cristiano un immagine di San Nicola e pone sotto la sua protezione i suoi tesori.Dopo molte peripezie, per intervento del santo, il re pagano si converte. Al tempo dello stile 1200 , la tipica immagine di culto non consiste in una pittura, ma in una statua lignea verosimilmente policroma.Questa situazione era il risultato di un processo plurisecolare, attraverso il quale la cristianità occidentale s era venuta gradualmente distinguendo dalla cristianità orientale anche nel campo della produzione visiva. Il trionfo del Concilio Niceno II del 787 aveva assicurato la liceità delle immagini. Mentre però nella sfera d influenza greca ciò comportò un esclusivo sviluppo della pittura e delle tecniche artistiche ad essa assimilabili, nella sfera d influenza latina assistiamo anche al sorgere ed all’affermarsi della figurazione tridimensionale. L orrore biblico per l’immagine a tutto tondo venne superato dapprima con l’adozione di statue – reliquiario, cioè contenitori in forma umana in cui la statua visualizzava la reliquia e la reliquia esorcizzava la statua. Col passar del tempo ed un lento lavoro di razionalizzazione, si giunse però ad accettare anche la statua da sola, indipendentemente dalla sua funzione pratica di contenitore. I primi oggetti di questo tipo furono i crocifissi. L accettazione della statuaria nella cristianità occidentale può dirsi almeno virtualmente compiuta nel 1054, con lo scisma tra cattolici e ortodossi. L abbinamento del consueto termine medievale imago con una parola carica di risonanze classiche come statua ci ricorda che le sculture a tutto tondo che abitavano le chiese all’apogeo del gotico erano il risultato di un lungo apprendistato sull’arte antica. Per quanto diverse nell’iconografia e nella funzione, esse condividevano coi loro lontani modelli la volontà di rendere la figura umana nella realtà del suo aspetto esteriore e delle sue emozioni.
A questo fine concorreva non solo una convincente articolazione plastica, ma anche un accurata rifinitura pittorica. Il diverso valore delle due operazioni è ben presente a quegli autori medioevali che paragonano la prima all’opera di Dio e la seconda all’opera dell’uomo. Il trionfo del naturalismo nella statuaria dell’Occidente cristiano costituisce una tappa importante nella storia del mutevole rapporto tra l’uomo e le immagini. Esse non sono esseri dotati di vita propria ma, appunto, immagini di una realtà che le trascende e che non sono in grado di imprigionare. Giustamente è stato segnalato il sotterraneo legame che stringe questo ordine di pensieri ai problemi riguardanti la definizione del dogma eucaristico. Già nel corso della lotta iconoclastica, a quanti sostenevano che l’Eucarestia era l’unica vera immagine di Cristo, gli iconoduli avevano risposto che l’Eucarestia non è un immagine di Cristo, ma Cristo stesso fattosi cibo e bevanda per gli uomini. Nell’Eucarestia ciò che conta è la realtà interna: sembra pane e vino ma è il Corpo e Sangue di Cristo. Nelle immagini, invece, tutto si riduce all’apparenza esterna: sembrano degli esseri viventi ma non sono che legno o pietra intagliati e dipinti. Ecco quindi che si afferma il naturalismo scultoreo: l’uomo con la sua arte, cerca di riprodurre la bellezza della natura, in quantum potest’, cercando di razionalizzare e imitare ciò che Dio ha creato. Si va quindi sviluppando una statuaria prettamente gotica, a causa dell’influenza francese, vincendo così la tradizione ellenistica dell’Italia.Fu solo con Giotto , quando i problemi risolti dalla scultura gotica si affacciarono alla pittura, che i resti dell’illusionismo antico si dimostrarono preziosi e l’Italia balzò inaspettatamente in primo piano nella storia artistica dell’Occidente.Il naturalismo giottesco non è solo questione di modi pittorici. E una rivoluzione epocale in tutto quanto il. mondo della visione. Nelle storie de San Francesco d Assisi, le icone appese sull’architrave dell’iconostasi del Presepe de Greccio , si presentano come robuste carpenterie su cui l’opera di un pittore di genio crea l’illusione di figure reali. Così, in questo periodo, abbiamo la presenza forte di pittura e scultura. La concezione cattolica delle immagini aveva insistito per secoli sulla sostanziale identità tra l’icona dipinta e la statua, ma fu solo l avvento di Giotto ad instaurare un nuovo, proficuo dialogo tra le due arti sorelle. Di regola la capacità di rendere non solo il rilievo, ma anche lo spazio che lo circonda assicurò alla nuova pittura una funzione guida. Non mancarono tuttavia le eccezioni, soprattutto in rapporto alla scultura dipinta ed al fascino prepotente che da essa emanava.
Il ruolo trainante della scultura dipinta
risulta a maggior ragione evidente quando dalle composizioni di più figure si passa al tema della figura singola. Le croci dipinte di Giotto, per quanto innovativi, appaiono assai meno naturalisticamente convincenti dei coevi crocifissi lignei nella misura in cui sono oggetti astratti sui quali compare la rappresentazione piuttosto che rappresentazioni in senso stretto. Non a caso verso la fine del Trecento, comincia ad affermarsi un tipo di crocifisso piano, scontornato lungo la silhouette e dipinto, spesso, su entrambe le facce.La crescente importanza delle immagini di Cristo in croce per il culto cattolico portò ben presto al costituirsi di maestranze specializzate in questo genere di opere. Uno dei più graffianti fabliaux medievali francesi racconta la storia di “monseigneur Rogier/ .i. franc mestre de bon afère,/ qui ben savoit ymages fère/ et bien intaillier crucefis”. Torna un giorno prima del tempo a casa e scopre la moglie con l’amante , un prete, al quale non giova distendersi nudo tra i crocifissi, fingendosi anche lui di legno. Il marito tradito si vendica crudelmente ed il mal capitato lascia malconcio la casa dell’amante. Intorno al 1390 una novella del Sacchetti riprende la storia, parlando di un “dipintore di crocifissi”. Anche dopo l’avvento del naturalismo e la rivoluzione giottesca le immagini continuano a svolgere una loro specifica funzione nell’ambito della religione. Ciò è tanto più vero tra Tre e Quattrocento, quando il grande scisma d Occidente favorisce un ripiegamento individuale della pietà ed il conseguente ricorso a tutti i possibili supporti esterni.
Si prega davanti alle immagini, si piange davanti alle immagini, si tengono le immagini nella cappella di famiglia come nella camera da letto… Questa nuova situazione crea una domanda crescente di immagini sacre alla quale risponde l intensificarsi della produzione seriale.
La grande stagione che ebbe la scultura dipinta, unita a materiali poveri come carta, terracotta, gesso, sia in Italia che al di là delle Alpi col gotico internazionale, lascia ben presto il posto al risorgere dei nazionalismi stilistici. E mentre nei paesi di lingua tedesca la scultura in legno dipinto esplodeva nella grande stagione dell’altare a sportelli, in Italia l’arte imboccava una via radicalmente diversa che sarebbe sfociata in una pesante penalizzazione di quella veneranda tecnica artistica.Quando, nel 1433, Ciriaco d Ancona visitò Firenze, non mancò di registrare nei suoi appunti come “apud Donatellum Nenciumque statuarios nobiles” avesse avuto modo di osservare “pleraque vetusta novaque ab eisaedita ex aere marmoreve simuachris (sic)”. Il mito rinascimentale di un ritorno all’arte antica importa da subito, nella scultura, il primato del marmo e del bronzo. Delle tre branche in cui gli antichi dividevano le arti plastiche, Poggio Bracciolini ricorda nel De varietate fortunae che il tempo aveva risparmiato solo i prodotti della scultura in materiale resistente e della fusione in metallo non prezioso (risparmiato dall’ingordigia umana). Marmo e bronzo si saldavano così a quello che rimane uno dei grandi motori della civiltà rinascimentale: il desiderio che la propria fama duri il più a lungo possibile sulla terra. Solo queste materie possono in effetti competere con la conclamata immortalità delle opere letterarie. Il mondo dei sogni è tuttavia ben lontano dalla realtà. A Firenze, per tutto il Rinascimento, il sistema delle corporazioni separava marmo e bronzo e univa pietra e legno. In questo periodo risultano interessanti i crocifissi datti da Donatello e Brunelleschi. Il legno quindi veniva scelto anche da insigni artisti per realizzare le loro opere e per dimostrare la loro bravura.In effetti, anche se molti contenuti erano nuovi, la forma mentis con cui i letterati si avvicinavano ai problemi dell’arte era sempre più indebitata con le idee dell’antichità. Vitruvio aveva indicato nel legno una sorta di materiale archetipo dell’architettura e altri autori antichi avevano insistito sul fatto che le primitive statue di culto erano state di legno presso i greci e di legno o creta presso i romani. Da qui, l’Alberti avanza la sua geniale teoria che le arti della figura siano nate dall’impulso a perfezionare spunti formali offerti dalla natura stessa (De statua). Da qui la precedenza del legno rispetto al marmo, all’avorio ed ai metalli nella definizione della statuaria quattrocentesca. In questo secolo la statua lignea viene rivalutata, ed il suo valore è legato anche a quella policromia che resta indispensabile. E così che vengono apprezzate finiture con colori accesi e brillanti, anche smaltati. E facile trovare nelle chiese statue vestite e fornite di capelli veri. La sovrapposizione tra arte e realtà travalicava i limiti del naturalismo e poteva offuscare nei semplici quella chiara distinzione tra immagine e prototipo fondamentale per l’accettazione cristiana delle immagini.